Daniele Durante è laureato in Lingua e letteratura giapponesi presso l'Università di Roma "Sapienza", dove attualmente ricopre il ruolo di dottorando. Ricercatore, cultore della materia e traduttore, si occupa principalmente dello studio del male same-sex lovenella storia e nella letteratura del Giappone premoderno e secondariamente di cultura pop contemporanea.

Recensione a
Y. Mishima, Colori proibiti
trad. it. a cura di M.G. Vienna
Feltrinelli, Milano 2018, pp. 481, € 15,00.

Quella di Yukio Mishima (1925-1970) rimane, ormai a mezzo secolo dalla scomparsa, una figura per molti aspetti controversa. Artista dal poliedrico talento, è stato fra le altre cose scrittore, drammaturgo, saggista, esteta, regista e attore cinematografico. Il suo nome diviene noto all’estero anche al di fuori del circolo degli studiosi e appassionati di letteratura e cultura giapponesi quando, nel 1970, egli si toglie la vita mediante il metodo tradizionale del seppuku, un sistema rituale in disuso che prevede lo squarciamento del ventre e la successiva decapitazione per mano di un aiutante. A generare preoccupazione e scalpore contribuiscono anche le circostanze del suo suicidio, avvenuto in seguito a un fallito tentativo di colpo di stato che avrebbe dovuto portare, secondo le intenzioni dell’esecutore, alla piena ricostituzione dell’esercito nipponico, drasticamente ridotto dagli statunitensi dopo la sconfitta del paese nel secondo conflitto mondiale. La paura che questo gesto e le sue motivazioni risvegliano in Giappone e sulla scena internazionale, dovuta alla paventata possibilità di un ritorno della nazione a un estremismo politico che contempli il ricorso alla guerra, suscita un profondo interesse per questo personaggio, il quale viene sottoposto postumo a un processo di indagine che ne svela numerosi lati dibattuti.

Uno di essi riguarda la presunta omosessualità di Mishima, ancora oggi argomento di miti e congetture, come dimostra il fatto che gli scaffali delle librerie giapponesi ospitano tuttora volumi presumibilmente autobiografici di uomini che, dichiarandosi amanti dell’autore, svelano segreti e retroscena della loro supposta relazione. Mishima stesso offre la sua opinione sul tema, oltre che nel celebre Confessioni di una maschera (Kamen no kokuhaku, 1949), anche nel romanzo Colori proibiti (Kinjiki), pubblicato originariamente in due parti nel 1951 e 1953. Nel racconto, Mishima segue la vicenda di Yūichi Minami, un ventenne dalla perfetta bellezza virile attratto dalle persone dello stesso sesso. Questa pulsione erotica, tuttavia, induce nel personaggio un dilaniante conflitto interiore. Yūichi, infatti, aborre il desiderio carnale, un istinto che, nella sua visione del mondo impregnata da un forte platonismo, minaccia di compromettere la sua integrità. A fare da contraltare al piacere sensuale, dunque, Yūichi sviluppa un’idealistica ambizione a salvaguardare l’assoluta purezza del suo corpo. Nello specifico, egli vive con particolare acutezza la lotta fra il suo anelito all’innocenza e il degradante richiamo della carne quando ammira il corpo di un giovane uomo, l’unico oggetto del suo amore al contrario delle donne, che invece non ispirano in lui alcuna spinta né erotica né emotiva. Tramite Yūichi, Mishima descrive dunque l’omosessualità maschile come una condizione martoriata dal dualismo di derivazione platonica che oppone la purezza e la carne.

Posto di fronte a un tale divario, Yūichi trova un cattivo mentore che acuisce ulteriormente la contraddizione che egli vive tra integrità ed erotismo. Questo pessimo consigliere è Shunsuke Hinoki, un anziano romanziere che rappresenta la tematica, molto sentita da Mishima e da lui esplorata in numerose opere, dell’osservatore passivo che non sa divenire l’artefice attivo della propria esistenza. Come risultato della sua innata attitudine alla contemplazione, Shunsuke sviluppa una razionalità così spiccata da erodere all’origine il desiderio inteso come istinto svincolato dal pensiero. In particolare, egli soffre per questa estrema forma di lucidità nei rapporti secondo lui insoddisfacenti che instaura con l’altro sesso. Condannato a subire cocenti delusioni dalle femmes fatales da lui venerate, Shunsuke sviluppa per compensazione una spiccata misoginia. In preda a questo odio cieco, Shunsuke scopre in Yūichi la sua arma del riscatto, poiché vede nel ragazzo la sua completa antitesi, in quanto egli racchiude in sé la giovinezza, la bellezza e l’indifferenza per le donne. Cogliendo queste caratteristiche, Shunsuke decide di fare di Yūichi il suo strumento di vendetta contro le amanti che lo hanno usato e tradito. Per raggiungere questo fine, Shunsuke induce egoisticamente il giovane a frequentare alcune donne con l’obiettivo di ferirle grazie alla mancanza di interesse che l’altro prova verso di loro. Per plasmare Yūichi secondo il suo volere, lo scrittore spinge inoltre il ventenne a riconoscere il suo estremo fascino e a cedere alla pulsione carnale che lo attrae verso gli altri uomini.

   I consigli interessati di Shunsuke comportano per Yūichi due gravi conseguenze. In primo luogo, il ragazzo viene indotto a frequentare la comunità gay, una sorta di società nella società la quale, sulle pagine di Mishima, assume un’aura di degrado morale. Infatti, il romanziere giapponese descrive le persone omosessuali come una autentica tribù, come testimonia l’espressione chiave “i tuoi simili” che Shunsuke usa più volte in riferimento a Yūichi e i suoi amanti, una collettività formata da individui capaci, grazie a connaturate peculiarità, di riconoscersi fra loro e aggregarsi in ambienti esclusivi in cui praticano il culto del fallocentrismo. Con uno stile di scrittura quasi naturalistico, Mishima tratteggia con dovizia di particolari il complesso di regole non scritte che disciplina il funzionamento dei gay bars e dei cruising spots frequentati dagli omosessuali giapponesi nei primi anni ’50. La raffigurazione che Mishima fa di questi luoghi e di chi vi si reca si ispira a diversi elementi narrativi che gli autori europei precedenti avevano usato nell’affrontare lo stesso argomento: così Mishima descrive la comunità gay come una versione deformata della società “ordinaria2, un gruppo che riunisce perfino insospettabili conosciuti alla luce della “normalità”, i quali, una volta incontrati con stupore negli ambienti gay, vanno rivalutati alla luce di nuove interpretazioni delle loro caratteristiche note, in maniera simile a come Proust si comporta in Alla ricerca del tempo perduto verso i personaggi del barone di Charlus e Saint Loup. Inoltre Mishima inserisce episodi carichi di una sensualità animalesca e volutamente scandalosa, la quale ricorda da vicino De Sade e il Wilde presumibilmente apocrifo di Teleny. Esponendosi a questo ambiente, Yūichi si avvia lungo un percorso di degradazione della sua persona e della sua moralità.

Come seconda conseguenza dell’arrendersi alla carne, Yūichi diviene preda della vanità. Come nel Ritratto di Dorian Gray Lord Henry spinge l’inesperto protagonista a rendersi conto della sua sublime bellezza, un suggerimento che, malgrado la buona fede di chi lo formula, condiziona Dorian a una ricerca edonistica del piacere perseguito anche con mezzi immorali, i commenti di Shunsuke sullo splendore virile di Yūichi sortiscono nel ventenne un effetto analogo. Egli, infatti, brama trovare negli amanti un suo doppio, una volontà che Mishima esprime tramite la ricorrente metafora dello specchio. Come risultato del suo narcisismo, Yūichi conduce un’esistenza solitaria, rinchiuso come in una prigione nei tenui ma invalicabili confini del suo io. Incapace di rapportarsi con gli altri perfino nei momenti di maggiore intimità, egli non sa avviare con il prossimo uno scambio dialettico che gli permetta di fuggire dal suo ego, soccombendo a una tragica solitudine.

In conclusione, in Colori proibiti Mishima riflette in maniera estesa sull’origine e gli effetti dell’omosessualità. In questo romanzo marcatamente influenzato dalla mentalità diffusa nel Giappone degli anni ’50, l’Autore crea un protagonista profondamente dilaniato dal conflitto interiore riguardante il suo desiderio amoroso, una costante lotta che oppone la preservazione della purezza alla corruzione dei sensi. Con la vittoria della pulsione erotica, Yūichi subisce un processo di degradazione via via più acuta dovuta alle sue frequentazioni nella lasciva comunità gay e nell’impossibilità di evadere dal carcere del narcisismo a cui l’edonismo lo condanna. In questo modo Mishima, figlio del suo tempo, raffigura l’omosessualità maschile come una condizione innata nell’individuo che porta ineluttabilmente alla decadenza.

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