Flavio Felice (1969) è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università degli Studi del Molise e professore invitato di Scienze sociali alla Pontificia Università Gregoriana. Attualmente è Michael Novak Distinguished Visiting Scholar-in-Residencepresso la Busch School of Business della Catholic University of America (Washington D.C.). È stato altresì visiting professor all’Università Cattolica Sedes Sapientiae di Lima (Perù). È membro del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali, è presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton, direttore della rivista «Prospettiva Persona» e presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto di Studi Politici San Pio V di Roma. È No-Resident Research Fellow del Faith & Reason Institute (Washington D.C.). Per l’editore Rubbettino dirige le collane “Il liberalismo delle regole” e “Novae Terrae”. È collaboratore di diversi quotidiani, tra cui “Avvenire” e “Il Foglio”. Ha curato e introdotto la traduzione italiana delle seguenti opere di Wilhelm Röpke: Al di là dell’offerta e della domanda. Verso un’economia umana(con D. Antiseri, 2015); Civitas humana. I problemi fondamentali di una riforma sociale ed economica (2016); La crisi sociale del nostro tempo(2020) e L’ordine internazionale (2023). Tra le sue pubblicazioni più recenti: Democrazia avvelenata(con D. Antiseri e E. Di Nuoscio, 2018); Moneta, sviluppo e democrazia. Saggi su economia sociale di mercato e teoria monetaria (con F. Forte e E. Di Nuoscio, 2020); I limiti del popolo. Democrazia e autorità politica nel pensiero di Luigi Sturzo(2020); Popolarismo liberale. Le parole e i concetti (2021); Laburismo cattolico. Idee per le riforme (con R. Rossini, 2022); Michael Novak(2022); Libertà e giustizia economica vivono insieme e muoiono insieme. Lettera ai «liberali distratti» e agli «statalisti ottusi» (con D. Antiseri, 2022) e ha curato il volume Lo sguardo politico dei grandi narratori (2023).
Recensione a: D. Thunder, The Polycentric Republic. A theory of Civil Order for Free and Diverse Societies (Routledge, 2025, pp. 199)
«Lo Stato sovrano moderno, sebbene non eserciti un controllo perfettamente supremo e completo sull’ordine civile, è animato da un’ideologia dell’ordine profondamente problematica che spinge i funzionari statali a esercitare un’influenza sproporzionata sui cittadini e sulle associazioni che rientrano nella loro sfera di competenza». Sono queste le parole con le quali David Thunder conclude il suo recente libro intitolato: The Polycentric Republic. A theory of Civil Order for Free and Diverse Societies, vincitore per il 2025 del premio indetto dalla Fondazione Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, la cui cerimonia si è tenuta lo scorso 30 settembre in Vaticano. Al cuore del libro abbiamo la rappresentazione della cosiddetta “Repubblica policentrica”, un concetto politico, ancor prima che un assetto istituzionale, imperniato sul valore del pluralismo sociale e istituzionale e sul rifiuto categorico del monismo; dell’idea che lo Stato (Status rei publicae) – frutto di un’artificiale reificazione dell’autorità politica – possa avanzare la pretesa di risolvere l’irriducibile pluralismo civile, in nome di una qualsivoglia nozione di sovranità.
L’idea di policentrismo fa il paio con la nozione di “plurarchia”, elaborata da Luigi Sturzo sin dal 1935, durante l’esilio londinese, nel suo trattato di sociologia politica intitolato: La società. Sua natura e leggi (Rubbettino, 2005). Ricorrendo alle parole del teorico siciliano, per policentrismo-plurarchia, intendiamo «la formazione di centri diversi di coesistenza sociale, con propria autonomia e con reciproco contatto, ora di tolleranza ora di lotta». La Repubblica policentrica vede il ruolo di attore protagonista della società civile, intesa come l’argine critico alla pretesa assolutistica avanzata da qualsiasi componente e il terreno di coltura di una mentalità critica che dispone le persone a resistere alle mire egemoniche di qualsiasi tipo e provenienti da qualsiasi parte; trattasi della rete di comunità territoriali e non, di enti concorrenti, di formazioni sociali, di enti economici, sociali, religiosi e quant’altro. Se a questa complessità civile associamo anche quella interna dell’ente pubblico, allora otteniamo una rappresentazione civile come realtà radicalmente e irriducibilmente differenziata, la cui articolazione è comprensibile ricorrendo alle due forme di sussidiarietà che si incrociano: orizzontale e verticale. La sussidiarietà orizzontale garantisce un’armonica ripartizione dei compiti e dei fini tra soggetti pubblici e privati, mentre la sussidiarietà verticale si traduce nella distribuzione delle competenze e degli obiettivi tra i diversi livelli territoriali del governo dell’ente pubblico; la circolarità delle informazioni, degli interessi e delle responsabilità fra i due livelli della relazione sussidiaria ci offre la possibilità di armonizzare gli interessi e di integrare la dimensione del government con quella della governance, improntata alla dinamica bottom-up.
L’opera di Thunder esprime una profonda critica dell’idea moderna di Stato, o almeno della sua versione più ideologica, che, passando attraverso la nozione di Stato assoluto, ha condotto all’abominio dello Stato totalitario. Alla base di questa concezione moderna dell’autorità politica chiamata Stato, a differenza delle autorità potestative che l’hanno preceduto, troviamo la pretesa di amministrare un potere civile globale. Ciò esclude qualsiasi realtà che non possa essere ricondotta allo Stato, il quale finisce per incorporare l’intera società civile e proclamarsi “sovrano” in nome del “popolo”.
La critica alla pretesa monistica dell’ideologia statuale, sostiene Thunder, richiede necessariamente una critica altrettanto radicale della narrazione che l’ha prodotta e la sua definitiva decostruzione. Tale decostruzione significa confutare l’idea che l’ordine sociale sia il risultato di un contratto stipulato da individui perfettamente liberi e uguali, sottovalutando il loro essere radicati nelle associazioni e negli organismi civili non statuali, giudicando tali entità di scarsa rilevanza per la formazione dell’ordine politico e la conseguente distribuzione del potere.
Ed ecco la tesi avanzata dall’autore: quando consideriamo la fonte del potere, ossia, l’attribuzione dell’autorità sovrana allo Stato, un atto compiuto esclusivamente dal “popolo”, inteso come una massa informe di individui isolati e scarsamente in relazione tra loro, il potere dei cosiddetti corpi intermedi, definiti da Sturzo “enti concorrenti”, proprio per evitare la deriva corporativistica, quelli che Edmund Burke chiamava anche “piccoli plotoni”, scompare o comunque risulta del tutto irrilevante al cospetto del potere esercitato dallo Stato, il soggetto politico che, per eccellenza, occupa lo spazio del politico. Al contrario, condividiamo la tesi esposta da Thunder, secondo la quale gli enti concorrenti sono le concrete realtà della società civile in cui si forma la personalità umana e che andrebbero considerati come attori protagonisti nell’organizzazione e nella partecipazione alla distribuzione del potere. Negarne l’esistenza significa indebolirne il ruolo a vantaggio dell’entità statuale, la quale, una volta emersa e conquistata la scena della storia, pretenderà di operare in modo incontrollato e illimitato, proprio in nome di quel “popolo sovrano” che la incoronò.
In breve, sebbene gli enti concorrenti, sia quelli territoriali a livello locale che quelli non territoriali, possano sempre tentare di influenzare il corso della vita civile, la loro esclusione dalla narrativa circa la formazione dell’autorità politica all’interno delle società democratiche, li rende effettivamente inadeguati a svolgere il compito di rivendicare la libertà e l’autonomia per le persone ad essi associate. Le loro rivendicazioni reali finiscono per scontrarsi con quelle di un’entità tanto artificiale quanto potente, che pretende di operare per conto e in nome del “popolo sovrano”, ma che in realtà agisce in nome e per conto dell’élite momentaneamente al potere.
In questo quadro teorico, Thunder sostiene che l’aspetto più problematico del paradigma dello Stato, che emerge dalla teoria del contratto sociale, non è tanto il fatto che esso assuma un potere eccessivo sui suoi cittadini, quanto piuttosto la sua intrinseca incapacità di riconoscere adeguatamente le ragioni e le rivendicazioni di autonomia che derivano dalle molteplici realtà soggette al suo dominio.
Il libro di Thunder mira a raggiungere tre obiettivi. In primo luogo, intende evidenziare il danno arrecato dalla nozione di sovranità, anche definita da Luigi Einaudi, “la spada di Satana”; in secondo luogo, si propone di sviluppare una teoria dell’ordine civile che favorisca la vita delle persone, uniche detentrici dello status publicus, nelle loro comunità spontanee: famiglia, impresa, scuola, università, comune; infine, in questa prospettiva teorica, si propone di arricchire il complesso delle teorie federaliste, implementandole attraverso il ricorso alle associazioni non territoriali.
In breve, Thunder vuole sviluppare una forma di federalismo che presenti tre caratteristiche fondamentali: in primis, il rifiuto definitivo della sovranità statale centralizzata; in secondo luogo, il riconoscimento dell’autonomia delle istituzioni politiche locali (territoriali); in terzo luogo, il riconoscimento dell’autonomia delle organizzazioni e delle istituzioni locali non territoriali.
In prospettiva teorica, i punti di riferimento di questa nuova narrativa policentrica, che procede dal basso della società civile verso l’alto, sia in termini territoriali, politico-amministrativi, sia in termini non territoriali, è lo stesso Thunder a dichiararlo, sono i cosiddetti “pluralisti inglesi” che intesero difendere le prerogative dei corpi intermedi, quali le chiese e i sindacati, di fronte alla pretesa dello Stato di assorbirli. A tal proposito, andrebbe ricordato il contributo di una parte rilevante della filosofia politica repubblicana classica, del costituzionalismo medioevale e del repubblicanesimo pre-umanista, tutte esperienze orientate al principio poliarchico, piuttosto che al monismo che si impose in epoca moderna. Venendo ai giorni nostri, altrettanto importanti sono i teorici del pluralismo costituzionale, del federalismo e della cooperazione tra istituzioni spontanee della società civile, alla luce degli studi degli economisti istituzionali vicini alla politologa Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia.
A partire dagli studi di Alasdair MacIntyre, Charles Taylor, Michael Sandel e Amitai Etzioni, Thunder immagina una forma politica più aperta al contributo offerto dalle comunità, più vicine alle istanze dei cittadini e, di conseguenza, anche più efficaci rispetto alla ricerca delle soluzioni ai loro problemi e all’individuazione di ciò che essi ritengono sia il loro bene. Il che non significa affatto rinunciare alle conquiste civili dell’ordine politico contemporaneo, in termini di diritti politici ed economici, ma comporta un ripensamento di base del sistema sociale nel quale tali vertenze storicamente sono emerse e possono essere interpretate, discusse e anche implementate.
Una simile impostazione, scrive Thunder, impone di
abbandonare il mito di un attore sovrano, che si erge maestoso al di sopra del tessuto della vita sociale, con giurisdizione esclusiva per interpretare e risolvere questioni legali, costituzionali e politiche. Ci impone anche di abbandonare la versione più federata di quel mito, in cui l’intero potere sovrano sull’ordine sociale è ripartito tra una manciata di governi territoriali. Al contrario, considera le questioni di giurisdizione e autorità come essenzialmente contestabili e necessariamente distribuite tra governi territoriali e non territoriali, con le associazioni locali che svolgono un ruolo di primo piano nella costituzione dal basso dell’autorità civile.
Se ragioniamo in termini di policy, la proposta teorica di Thunder andrebbe a impattare sulle politiche nei campi della scuola, dell’università e del welfare; soluzioni di tipo liberale classico che andrebbero a minare le fondamenta della pretesa monopolistica dello Stato in ambito di produzione della legge, sull’amministrazione e sulle politiche pubbliche. Un impatto tale che finisce per mettere in discussione buona parte della filosofia politica moderna, incentrata sulla logica sovranista e monista, ereditata dalla grande prospettiva statocentrica di matrice hobbesiana, i cui effetti hanno tragicamente condizionato la storia politica occidentale del XX secolo.
Sulla scia di autori come McIntyre, Hayek, ma anche di E. e V. Ostrom, l’idea di Repubblica policentrica di Thunder contrasta con ogni forma di centralismo. La governance sussidiaria permette ai cittadini di esercitare la funzione sovrana, partecipando al processo decisionale. Il principio di sussidiarietà consente di armonizzare e di governare l’irriducibile policentrismo istituzionale, figlio dell’altrettanto irrisolvibile plurarchia civile, e si oppone al monismo, ossia, alla pretesa egemonica di chi, ritenendo di possedere la verità, pretende anche di detenere e amministrare monopolisticamente gli strumenti per omogeneizzare gli interessi contrastanti e imporre la propria soluzione al dilemma del bene comune.
In breve, il problema classico del Buongoverno si risolve nella consapevolezza che esso è il prodotto del rapporto che intercorre tra una serie di buoni governi, espressioni della società civile, nella quale riposano le istituzioni politiche, economiche e culturali, senza che nessuna di esse veda soddisfatto alcun preteso primato.
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