Alfonso Lanzieri (1985) è dottore di ricerca in filosofia dal 2017. Attualmente insegna filosofia presso la Facoltà Teologica di Napoli e l’ISSR “Duns Scoto” di Nola-Acerra. Si interessa principalmente di filosofia della conoscenza e filosofia della mente. Ha pubblicato saggi, articoli e monografie, tra cui Pensiero e realtà. Un'introduzione al "realismo critico" di Bernard Lonergan(Mimesis, 2017); Il corpo nell'anima. Henri Bergson e la filosofia della mente (Mimesis, 2022).

«Eravamo scesi dalla metropolitana e stavamo camminando verso l’hotel – racconta Abi Reuben, 24 anni – quando una decina di uomini, turchi o arabi, ci hanno chiesto di dove fossimo. Poi hanno gridato a me e ai miei amici: “Ebrei, ebrei! Idf, Idf (la sigla dell’esercito israeliano, ndr)”. Ho cominciato a correre e sono caduto. Mi hanno preso a calci urlando “Palestina”. Ho il naso rotto e ho avuto la vista offuscata». È solo una delle testimonianze raccolte dai giornali (questa è presa da “Avvenire”) sulle violenze che si sono consumate nella notte di Amsterdam, subito dopo la partita tra Ajax e Maccabi Tel Aviv giocata giovedì scorso, 7 novembre, che hanno prodotto circa sessanta arresti e una decina di feriti.

In uno dei video, girati mentre si consumavano le aggressioni, si vede un ragazzo preso a calci che urla “non sono ebreo!” per salvarsi dalle botte, mentre in un altro video c’è un ragazzo ucraino costretto a mostrare i documenti per dimostrare di non c’entrare nulla con Israele e viene forzato a esclamare “Palestina libera!” per poter essere lasciato andare. Attorno sono scene da guerriglia urbana e tifosi asserragliati negli hotel per non essere linciati. Agli ebrei di Amsterdam viene detto di restare a casa e non mostrare in pubblico simboli ebraici. Sembrerebbero proprio attacchi di natura antisemita. Ma in molti non ci credono.

Non parliamo di chi, giustamente, vuole esercitare il dubbio critico, approfondire, conoscere le proporzioni della vicenda, raccogliere dettagli utili all’interpretazione dell’insieme, come si dovrebbe sempre fare. No, parliamo di una massa alquanto estesa di opinionisti, account social, giornalisti, commentatori, che non credono per partito preso. A questa massa non basta che il primo ministro Dich Schoof abbia condannato gli «attacchi antisemiti», che il Re Guglielmo Alessandro abbia telefonato al presidente israeliano Isaac Herzog per esprimergli la sua massima condanna delle aggressioni, paragonando quanto avvenuto al fallimento olandese nel proteggere gli ebrei durante la Shoah, che la sindaca di Amsterdam, Femke Halsema, abbia parlato esplicitamente di uno «scoppio di antisemitismo come speravamo di non vedere mai più», che Janny Knol, responsabile nazionale della polizia dei Paesi Bassi, abbia scritto sul proprio account social di X: «Violenza e antisemitismo orribili e inaccettabili ad Amsterdam».

Evidentemente le massime autorità politiche ed istituzionali non ne sanno quanto loro, usano parole a caso, non hanno letto i giornali giusti. Non basta che gli attacchi non siano stati posti in essere dai tifosi avversarsi, vale a dire quelli dell’Ajax (sarebbe dunque la prima volta di uno scontro tra tifoserie con una sola tifoseria), né basta che la sindaca di Amsterdam abbia fatto riferimento a un gruppo Telegram che potrebbe essere stato usato per coordinare gli attacchi (ne parlano tante testate, tra queste il “Telegraaf” e la BBC). Certo, per essere equanimi è necessario anche riportare il comportamento degli ultras della squadra israeliana ospite, i quali sono ben noti per la loro violenza e il loro estremismo. Nelle ore che hanno preceduto la partita hanno fatto strame di una bandiera palestinese, attaccato un tassista e poi, all’interno dello stadio, si sono lasciati andare a cori vergognosi contro le vittime di Gaza. Un campionario di azioni riprovevoli senza dubbio.

Il problema è che quanto capitato nella notte non può essere derubricato a reazione violenta dei tifosi di casa, secondo una scellerata grammatica ultras ben conosciuta e che magari, questa volta, è stata utilizzata come occasione propizia per dare la stura a ben altro che a una scazzottata tra hooligans.

Tra le altre cose, quando ciò capita, la condanna della reazione, che aggiunge violenza a violenza, è spesso e giustamente unanime. In questo caso, invece, incredibilmente il “se la sono cercata” compare sulla bocca di molti, con trasalimento di colui che scrive. Se questo è giusto  ̶   ciò che segue sia letto come una provocazione  ̶  allora quando in alcuni cortei ProPal delle capitali occidentali hanno bruciato le bandiere israeliane, urlano cori di approvazione del pogrom del 7 ottobre 2023 e inneggiato alla cancellazione di Israele, avremmo dovuto moralmente autorizzare successive violenze contro i manifestanti. Per fortuna, a nessuna persona civile verrebbe in mente di affermare una cosa simile.

E allora perché se c’è di mezzo Israele la soglia del dicibile e del fattibile si sposta sempre un po’ più in avanti? Perché si tenta sempre di “contestualizzare”, di dire “non è tutto bianco e nero”, in modo da riportare ogni violenza contro gli ebrei alla dialettica provocazione-risposta? Perché nel distribuire i carichi delle colpe, con Israele, la massa prima richiamata, esagera in severità e coi suoi nemici tende a esagerare in indulgenza?

Nelle ultime 48 ore, si è potuto leggere sui social, in riferimento ai fatti di Amsterdam, che “dopo aver fatto decine di migliaia di vittime a Gaza ora questi fanno le vittime”. Chi lo ha scritto, tanti, troppi, evidentemente non si rendeva conto di star confessando quello che altri rimuovono, e cioè che per molti Gaza è la scusa per attaccare gli ebrei nel mondo.

Ebbene: si può benissimo esecrare la condotta di Israele a Gaza, e nello stesso tempo denunciare che è in corso una pericolosa recrudescenza di antisemitismo in Europa. Se le persone di buona volontà non riescono a incontrarsi perlomeno in questa terra di mezzo della ragionevolezza minima, allora stanno per arrivare tempi assai duri, meglio dirselo chiaramente.

L’antisemitismo è in aumento in Europa da anni, e ha conosciuto un’intensificazione dal 7 ottobre 2023, vale a dire dall’inizio del nuovo conflitto in Medio Oriente: agli ebrei nel mondo viene chiesto conto della condotta dello Stato d’Israele, e possono essere accusati tutti, indistintamente, di “genocidio”. Le nostre città non sono più un posto sicuro per loro. Questo è il contesto più proprio dei fatti di Amsterdam, non le azioni degli ultras israeliani, che ho già deplorato e condannato (a scanso di equivoci).

Mi spiace essere così netto come sto per essere, ma chiunque pensi che questo risultato sia in qualche modo giustificabile come reazione indignata per la condotta israeliana di Gaza, non comprende che inserire l’antisemitismo nella dialettica di azione-reazione di torti storici significa aver frequentato invano perlomeno le lezioni di storia delle superiori. Da più di un anno va avanti un mascariamento dello Stato di Israele e degli ebrei. Idee sempre esistite e sbandierate, ovviamente, nelle frange culturali radicali, che hanno trovato però nuovi megafoni e fiancheggiatori nelle anime belle del ventre molle del pensiero liberal-borghese progressista, in cui albergano tanti portatori sani e in buona fede di antisemitismo inconsapevole.

Assecondare la retorica che vorrebbe lo Stato d’Israele nato da nient’altro che un enorme furto di diritti e terra perpetrato ai danni di un altro popolo, e giustificare il terrorismo fanatico che vorrebbe cancellare quello Stato affibbiandogli il nobile nome di “resistenza”, significa delegittimare in toto la sua esistenza, la sicurezza di quanti lo abitano, nonché la dignità morale degli ebrei nel mondo, che spesso vengono sovrapposti senza troppi giri di parole ai nazisti. Più che i contenuti, poi, a tradire molti è il modo: la foga del coro anti Israele e anti ebrei, pronto a opporre ogni volta un dubbio critico così minuziosamente pedante che non se ne può che rilevare la strumentalità speciosa, nutre il sospetto fin quasi alla certezza.

C’è un problema, non ai margini della nostra cultura, non nelle curve più radicali di estremissima destra o di estremissima sinistra, anche se in questi mesi velato dall’indignazione e dal turbamento morale (peraltro giustificati) per le vittime innocenti in Palestina. Sì, perché la mostrificazione di Israele non ha nulla a che vedere con la critica, anche durissima, alla condotta politica dell’attuale governo israeliano o di quelli precedenti, nulla da spartire con l’eventuale biasimo di Netanyahu e del suo gabinetto di governo. C’è sempre stata, infatti, una “motivazione” nella storia per odiare gli ebrei: l’ebreo è stato odiato perché era ricco ma anche quando è stato povero e schiavo, perché corpo estraneo nella comunità oppure perché integrato ma comunque non assimilato, per il suo credo religioso ma anche quando è ateo e non praticante. Questo suggerisce che le spiegazioni contestuali dell’antisemitismo non bastano.

L’antisemitismo è un geyser di lucidissima irrazionalità che può risalire veloce dalle viscere civilissime di università, scuole, aule congressi, villette a schiera. Tanti, troppi, giocano ormai con una strumentazione concettuale incendiaria, come se non avessimo imparato che la bestia antisemita è indomabile, che non può essere inglobata in un corteo come una minoranza un po’ troppo estrema che tanto abbaia ma non morde.

Lo dico anzitutto ai miei amici e compagni di viaggio, coi quali condivido studio, riflessione, impegno professionale e svaghi serali e coi quali, negli ultimi tempi, su questo non sempre ci s’intende: serve una euristica della paura. Anche solo la previsione di una potenziale catastrofe deve farci alzare le paratie di contenimento. Siamo pronti a farlo e a dirlo ai primi sintomi, anche molto tenui, di fascismo; siamo pronti a farlo a dirlo ai primi sintomi, anche molto tenui, di razzismo. Sull’antisemitismo, non capisco perché, diventiamo invece baldanzosi, ci accontentiamo dell’autocertificazione. Credo che la frase più spaventosa di Primo Levi sia: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo». Con quale diritto ci riteniamo immuni da un virus che ha infettato milioni di esseri umani prima di noi, uguali a noi, in molti casi più colti e intelligenti di noi?

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