Andrea Frangioni (1978), abilitato come professore associato di Storia Contemporanea, è autore di Salvemini e la Grande Guerra (Rubbettino, 2011) e di Francesco Ruffini. Una biografia intellettuale (il Mulino, 2017). Dal 2008 è cultore della materia presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT. Tra i suoi numerosi saggi si segnalano: Una mezza rivoluzione di metodo e di piano di lavoro. Chabod e il progetto di storia della politica estera, in Il realismo politico a cura di A. Campi e S. De Luca (Rubbettino, 2014) e La fine di un ciclo democratico. Su Gauchet, Rosanvallon, Schnapper, in «Rivista di politica», 1/2019. Assieme a F. Mazzei e G. Pizzoni, ha anche curato il volume La storia come cultura. Studi in onore di Roberto Pertici (Edizioni Studium, 2024). Fa parte del Comitato di redazione del semestrale «Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee».

Su “la Repubblica” del 24 marzo scorso un’analisi di Lucio Caracciolo descrive, tra i vari scenari della guerra russo-ucraina, come potrebbe avvenire un attacco navale russo ad Odessa, con tanto di mappa. Questo racconto, scritto di getto dopo aver letto quell’analisi, delinea uno scenario assai diverso. I “realisti” ne sorrideranno ma lo considero, nelle sue linee essenziali, assai più realistico dei loro scenari. Anche se, su suggerimento di un mio mentore, l’ho intitolato “sogno di un democratico” perché è pur sempre un racconto di fantasia. Il problema dei realisti di oggi – non in particolare di Caracciolo che è uno dei migliori – è che sono o cinici o troppo compiaciuti di sé nello spiegare al volgo ingenuo gli arcana imperii che governano il mondo. I realisti che piacciono a me, invece, come il grande liberale Raymond Aron, hanno uno sguardo malinconico sulle miserie umane e non rinunciano alla speranza kantiana di una qualche tendenza al progresso, di un miglioramento limitato, relativo, del legno storto dell’umanità.

Tutti i personaggi e i movimenti politici citati sono realmente esistenti. Nei mesi scorsi gli eventi sono andati diversamente da quanto ipotizzato. Inoltre Patrusev non è più segretario del Consiglio di sicurezza russo, anche se mantiene un ruolo importante nel regime putiniano, e Trump ha scelto J.D. Vance e non Tucker Carlson come candidato alla vicepresidenza, anche se si parla comunque di un ruolo per Carlson in una eventuale seconda amministrazione Trump. Ma prima o poi qualcosa di simile a quanto descritto accadrà e provocherà la valanga che farà sciogliere come neve al sole il regime di Putin.

Dall’Atlante geopolitico Treccani, Roma 2045

Russia, storia […] Il tentativo di Putin di addossare la responsabilità dell’attentato del 22 marzo 2024 all’Ucraina, a dispetto delle prove evidenti che si trattava di opera dell’ISIS-K, fece scattare la protesta popolare.

Qualcosa di simile era successo in Spagna, dopo l’attentato di Al Qaida dell’11 marzo 2004, per il quale il primo ministro Aznar cercò in un primo momento di accusare i separatisti baschi. Ma in quel contesto democratico Aznar fu punito nelle vicine elezioni politiche, che videro la vittoria a sorpresa del socialista Zapatero. Nell’autocrazia russa il percorso fu più complesso e doloroso.

Le prime significative proteste furono registrate ai funerali delle vittime dell’attentato. Numerosi manifestanti accusarono il governo di aver trascurato la sicurezza interna per sperperare risorse e uomini in Ucraina. Le forze dell’ordine reagirono con una repressione che andò fuori controllo. Oltre a centinaia di arresti, rimasero uccisi sei manifestanti, tra i quali tre madri di soldati impegnati sul fronte ucraino. La repressione durante una cerimonia religiosa, unita al fatto che tra le vittime vi fossero familiari dei soldati impegnati in Ucraina, che Putin aveva cercato fino a quel momento di blandire, spinsero contro il regime anche molti suoi antichi sostenitori. L’epiteto di “satanista” che la vedova di Alexei Navalny, Yulia, aveva già indirizzato contro il presidente russo, iniziò ad essere frequentemente ripetuto nei luoghi di culto ortodossi. Il movimento delle madri dei soldati, insieme alla fondazione anticorruzione creata da Navalny, chiamò allo sciopero generale e a manifestazioni di piazza. Incredibilmente, nonostante la censura, l’appello riuscì e manifestazioni imponenti si tennero a Mosca, a San Pietroburgo e in altre città russe. Vi furono ancora repressioni ed arresti ed in un intervento televisivo delirante Putin, peraltro visibilmente poco lucido, accusò la CIA e l’”ebreo Soros” di essere gli organizzatori di un tentato colpo di stato, come già fatto in combutta con i “neonazisti” di Kiev contro il presidente filorusso Yanukovich tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014. Yulia Navalnaia riuscì a sorpresa a rientrare in Russia da Berlino e a parlare, prima di essere arrestata, di fronte a una folla oceanica davanti al Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo. Ma fu quando la folla riuscì a liberarla dal commissariato dove era stata condotta che per l’ala pragmatica del regime fu evidente che occorreva abbandonare la repressione e probabilmente sostituire Putin. Il primo ministro Misustin, uno scialbo tecnocrate, fino ad allora abbastanza silente, iniziò ad operare in tal senso. Tuttavia i “silovki”, gli uomini dei servizi e degli apparati di sicurezza, rappresentati al vertice dal segretario del consiglio di sicurezza nazionale, Nicolaj Patrusev, già capo dell’FSB, ancora resistevano.

Nel giugno 2024 iniziarono a verificarsi consistenti diserzioni di soldati russo sul fronte ucraino, consentendo alle truppe di Kiev di sferrare una controffensiva e riuscire dove era fallita la controffensiva del 2023, cioè spezzare la continuità territoriale delle conquiste russe tra il Donbass e la Crimea. A quel punto Patrusev si convinse e spinse Putin alle dimissioni, il 19 agosto 2024, confinandolo nella sua residenza di Soci. Patrusev pensava di poter continuare il putinismo senza Putin ma si rivelò un calcolo clamorosamente sbagliato. In base alla Costituzione russa, il primo ministro Misustin assunse le funzioni di presidente e sostituì il ministro degli esteri Sergej Lavrov con un altro esponente moderato, la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina. Mentre Misustin e la Nabiullina tentavano timide misure di liberalizzazione come l’abrogazione della legge sugli “agenti stranieri”, Patrusev volle per sé il ministero della difesa per continuare la guerra in Ucraina e annunciò la propria candidatura alle prossime elezioni presidenziali. In vista di quell’obiettivo, Patrusev aveva però bisogno di un rapido successo militare in Ucraina. Patrusev, uomo dei servizi, era però inviso ai vertici delle forze armate; le rivalità fecero sì che un tentato attacco navale russo ad Odessa, nell’ottobre 2024 fallisse clamorosamente, con ingenti perdite tra le forze armate russe. Patrusev reagì prospettando una nuova massiccia mobilitazione militare dopo quella del settembre 2022, provocando un’imponente protesta popolare. I vertici delle forze armate ne approfittarono per liberarsi di Patrusev, con l’assenso tacito di FSB e GRU, che pure ritennero il loro leader ormai compromesso. Con Patrusev agli arresti, accusato di corruzione e del fallito attacco ad Odessa, Misustin convocò una tavola rotonda, coinvolgendo Yulia Navalnaia e altri esponenti dell’opposizione russa, in modo da arrivare a un governo di unità nazionale che modificasse la Costituzione e traghettasse la Russia verso libere elezioni. La Navalnaia, pur partecipando, da leader ormai riconosciuto dell’opposizione, al processo di transizione, scelse di rimanere fuori dal governo ma molti esponenti dell’opposizione a Putin fino a pochi mesi prima in prigione giurarono da ministri il 1° gennaio 2025, mentre in Ucraina veniva proclamato il cessate il fuoco: Vladimir Kara Murza venne nominato ministro degli esteri, l’esponente di Memorial Oleg Orlov ministro dell’istruzione e della cultura mentre la Nabiullina tornò ad occuparsi di economia come ministro delle finanze. L’oppositore in esilio Michael Khodorkovski venne messo alla guida di Gazprom, con il mandato di dividerla in più tronconi, in modo da spezzare il suo ruolo oligopolistico nell’economia russa. Nel marzo 2025 Yulia Navalnaia venne trionfalmente eletta presidente della Federazione russa.

Quando, alla fine del suo secondo mandato, nel febbraio 2033, la presidente Navalnaia si recò insieme al presidente USA Pete Buttigieg a rendere omaggio alla tomba di Alexei Navalny (mentre Vladimir Putin aveva da poco festeggiato, nell’ottobre precedente, il suo ottantesimo compleanno in una cella dell’Aia, dove stava scontando la condanna inflittagli dalla Corte penale internazionale), la Russia e il mondo erano profondamente cambiati. E non solo perché Buttigieg, primo presidente gay della storia USA, aveva potuto incontrare gli organizzatori del Gay-pride che si sarebbe svolto di lì a poche settimane a Mosca. Dagli archivi della presidenza Putin resi pubblici dalla presidente Navalnaia emersero le prove del forte sostegno illecito di Putin a Trump per la sua nuova elezione alla presidenza del novembre 2024. Questo condusse all’impeachment di Trump e del vicepresidente Carlson, innescando la crisi costituzionale che condusse alla presidenza prima Liz Cheney, una repubblicana che aveva visto nel 2022 la sua carriera al Congresso interrotta per la sua fiera opposizione a Trump, e quindi il democratico Buttigieg. Cheney e Buttgieg, molto diversi in politica interna, seppero però ricostruire un consenso bipartisan sulla politica estera. Comune fu ad esempio l’impegno per la pace in Medio Oriente, dove la minaccia di Cheney di sospendere le forniture militari ad Israele portò alla crisi del lungo governo Netanyahu e alla sua sostituzione con Benny Gantz. Solo due anni dopo il nuovo primo ministro israeliano Yair Lapid e il nuovo leader palestinese, Mustafa Barghouti, firmarono gli accordi che condussero alla nascita dello stato palestinese. Questi sviluppi non sarebbero però stati possibili se, sull’onda degli eventi di Mosca, la rivoluzione di donna, vita e libertà non avesse trionfato a Teheran nel giugno 2025, ponendo le premesse per il tramonto di Hamas e di Hezbollah.

D’altra parte una dinamica simile, ma assai più lenta, coinvolse anche la Cina: tra le carte di Putin furono anche trovate le prove del consistente aiuto finanziario e militare ricevuto da Xi Jinping ed i resoconti dei colloqui tra i due leader in cui il Cinese aveva rivelato i piani di attacco contro Taiwan. Numerosi sinologi individuano in questi eventi le cause remote che condussero alla “rivoluzione democratica e federalista” cinese del 2035.

I Putinleaks mostrarono però anche quanto il mondo si fosse trovato sull’orlo dell’abisso nella primavera 2024, rivelando un piano per l’utilizzo di armi nucleari tattiche contro Kiev o, in alternativa, per un sabotaggio che facesse esplodere due reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhia, orchestrato in modo da dare la colpa agli ucraini. Queste rivelazioni contribuirono all’apertura di una nuova stagione di negoziati per la riduzione delle armi nucleari. Ma nuove minacce alla stabilità internazionale, che coinvolsero anche la Russia, erano sorte nel frattempo…

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