Enrico Palma (1995) è dottore di ricerca in Scienze dell'interpretazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania. Nel 2022 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento per la classe di concorso A019 (Filosofia e Storia). Le sue aree di ricerca sono la filosofia teoretica, l’ermeneutica letteraria e i paganesimi antichi. Ha pubblicato saggi e articoli per riviste di filosofia, letteratura e fotografia. Con la cura del volume Psyché. L’anima ha contribuito alla collana del «Corriere della Sera» dedicate a Greco. Lingua, storia e cultura di una grande civiltà  (a cura di M. Centanni e P.B. Cipolla, 2022/2023). È redattore della rivista culturale online «Il Pequod». Ha pubblicato De scriptura. Dolore e salvezza in Proust (Mimesis, 2024).

Recensione a: E. Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 144, €10,00.

                                                                                                                                              

Eugenio Mazzarella, sulla scia di riflessioni condotte già da molti anni sulle più scottanti questioni filosofiche, politiche e sociologiche della nostra epoca, propone in questo volume – che ha tutto l’aspetto del pamphlet polemico – una serrata e ben argomentata critica di uno dei progetti e delle visioni del mondo che stanno maggiormente tenendo banco nei tempi più recenti: la nuova piattaforma (futuristica o catastrofica) di Mark Zuckerberg, che a suo dire dovrà costituire la naturale prosecuzione di Facebook, e cioè Metaverso, marchio in cui tutti i feudi digitali di cui si compone l’impero del miliardario statunitense sono ormai confluiti.

Secondo l’autore, quello propinato da Zuckerberg sarebbe un vero e proprio nuovo vangelo, il messaggio di un tempo a venire in cui ogni dato, esperienza e attributo esistenziale giungono ad un crocevia obbligato, ad un epocale punto di svolta. Mazzarella coglie nel modo più esatto possibile il busillis della questione: «E qual è questo vangelo? Il trascendere oggi a disposizione, grazie al digitale e all’intelligenza artificiale, del mondo reale nel mondo virtuale per il tramite della transitività dei due mondi» (p. 11). Si tratta dunque di un passaggio, di uno spostamento dell’umanità da una geografia storica ed esperienziale a un’altra eterea, dal reale al digitale per il tramite del dissolvimento dei corpi, in cui a essere in gioco è una totale riconfigurazione del significato profondo di presenza. In altri termini, la questione filosofica sollevata dal Metaverso è una messa in discussione del mondo e della maniera in cui abitare in esso, volendo significare con ciò un suo ipotetico abbandono quale noi lo abbiamo conosciuto fino a ora (benché sempre più ibridato e contaminato dal digitale e dall’informazionale) per una dimensione inedita, tremendamente affascinante ma di cui non si sono soppesati con cura tutti i rischi.

Il Metaverso ci induce quindi a riflettere sul significato profondo da attribuire alla presenza, a quale mondo vogliamo appartenere, quale vogliamo salvare o abbandonare, ricalibrare o mollare del tutto, auspicando una specie di terra promessa in cui però «stiamo sradicando la nostra vita, il nostro esserci, dall’essere-nel-mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un ampliamento degli spazi “vitali” accessibili all’esperienza individuale» (p. 15). Nelle galoppanti prospettive dell’onlife, dell’adoperare tutto ciò che si può fare e che la tecnologia ci mette nelle condizioni di eseguire, o della comunità potenzialmente globale costituita dalla rete, Mazzarella, oltre a percepire giustamente «una pulsione neo-gnostica (tecno-gnostica)» (p. 21), coglie non soltanto un depauperamento dell’umano contemporaneo considerato di per sé ma una sua riduzione all’elemento materico da cui è provenuto, per meglio dire alla «materia fredda della nostra origine minerale, prima che in essa, e da essa, emergesse la febbre dello spirito che siamo come spirito incarnato, e cioè come carne che prende addosso sé stessa, la sua “vita”» (p. 28). La posta in gioco, come ricorda l’autore, è quella della dismissione della realtà che ci appartiene e in cui la vita è fondata come bio-etica in favore dell’infosfera, nonché quella più importante e decisiva della perdita assoluta e irreversibile dell’«incarnazione come presenza a sé di un’entità, un esserci – che è anche sempre un (eco)sistema di relazioni – che si prende addosso la sua carne» (p. 33. Il corsivo è nel testo).

Naturalmente, una traslazione simile porta con sé notevoli ricadute sotto ogni punto di vista. Non c’è dubbio che al momento attuale ci troviamo nel corso di un’imponente rimodulazione dell’esistenza in senso tecnico e più precisamente digitale, sicché l’avvento di una quarta grande rivoluzione della civiltà umana può davvero essere alle porte, e per Mazzarella essa si fonda su uno dei tratti più caratteristici che ci rendono umani: la capacità di calcolo, che viene sempre più soppiantata da intelligenze artificiali la cui definizione più esatta, proprio in virtù della netta contestazione dell’autore, si pone invece sul piano dell’esecuzione dei compiti e della sola computazione di processi. Dopo Copernico, Darwin e Freud, dopo aver perso la centralità nell’Universo, nell’ordine delle specie e nella consapevolezza data per imperturbabile dalle spinte occulte del sé, si aggiunge quella del posto dell’uomo nel suo stesso processo operazionale di scrittura del mondo, che sta rischiando con il Metaverso di essere dislocata in una dimensione nella quale la libera scelta della programmazione mondana è consegnata ad algoritmi ed ectoplasmi, totalmente estranei quindi a quella scriptura mundi che era già galileana, e che doveva servire non ad abitare un altro mondo ma a rendere migliore il presente: quello in cui, diversamente da ogni AI e ITC possibile, vige ancora la comprensione dei fini e l’etica degli scopi, giace la sofferenza e l’essere insieme nella condivisione di una storia che è allo stesso tempo intra e interspecifica, l’essere finiti che siamo e a cui siamo rimessi dall’autenticità che ci appartiene e dal senso del morire, che è il Grundbegriff di Heidegger come di tutta la riflessione di Mazzarella in questo volume.

Il fantasma, l’oasi digitale e favolosa promessa dal Metaverso è in verità una metafisica bugiarda e di bassa lega, un inganno che l’umano perpetra su di sé a partire dalla stessa tecnologia che ha creato e di cui sta tirando le fila fino allo smarrimento, alla dissolvenza e alla morte come dimenticanza della necessità di se stessa. «Non c’è nessuna metafisica, neanche di avatar che ci portino nell’eterno digitale, dopo il reale, dopo la fisica che siamo. Dopo la fisica, anche quella dell’onlife, c’è solo la fisica che muore, l’unica metafisica conosciuta, cioè noi» (p. 47). Noi, possiamo aggiungere, che moriamo.

Con questa sintesi scultorea, Mazzarella non solo spiega cosa sia l’essenza di quell’umanità che, parole sue, deve rimanere, ma dell’umanità in generale e che, soprattutto, conosce. Il Metaverso non è una possibilità umana anche per la ragione di non essere una possibilità di conoscenza: non c’è conoscenza senza l’umano che sa di morire, e se non c’è conoscenza non c’è neanche vita degna di essere considerata come tale. Soprattutto alla luce dell’esperienza pandemica che ha vincolato la presenza a una dolorosa assenza che richiamava potentemente alla sua stessa rimozione per il ritorno bio-fisico, Mazzarella formula l’imperativo da seguire, la premessa all’etica prescrittiva e alla cancellazione di ciò che è nocivo e deleterio per l’esistenza: «Un imperativo, salvare la presenza, che è il più generale imperativo del presente» (p. 49). Un imperativo del presente nel duplice significato della parola: presente come istanza temporale e storica, come epoca; presente come ciò che è da salvare, come ciò che è da prelevare dall’emergenza e dalla situazione di seria minaccia in cui ci si trova.

Nella ricchezza dell’argomentazione mazzarelliana rilevo questo punto, ovvero che nella critica storico-politica che l’autore ricostruisce in modo assai chiaro, e nella miriade di criticità che il presente (come ogni presente inaggirabile) ci pone dinnanzi, il pericolo è quello di delegare l’appropriazione esistenziale che si realizza pienamente nella presenza allo strapotere del Man heideggeriano (che in Essere e tempo era sia esistenziale che sociale), dando così il destro a una riformulazione del Man come oligarchia e strapotere dell’algoritmo, nella storia della progressiva alienazione di sé dell’uomo attraverso i suoi stessi mezzi e che ora può raggiungere il suo apice nell’alienazione dell’uomo dal suo mondo in un altro mondo artificiale e artefatto ridotto a puro mezzo informatico.

In altre parole e tentando una possibile sintesi, l’esteriorizzazione alienante dell’uomo in una dimensione, quella virtuale, in cui la sua purezza di mezzo è tale da aver raggiunto in se stessa il massimo del soddisfacimento: la totale cancellazione dell’umano nella realizzazione assoluta del mezzo, dello strumento, della tecnica. Il pericolo di Metaverso mi sembra, nella sua essenza, proprio questo. Se c’è una salvezza a tutto ciò, perché deve esserci, essa sarà, per cominciare, nell’«anima bassa», dice Mazzarella, nella nostra identità meramente «sensitiva, volitiva» (p. 65). Quella per cui per quanto bella e appetitosa possa sembrare una pizza in un reel di Instagram, mangiarla realmente sarà sempre un’esperienza infinitamente migliore; talché se verrà l’acquolina in bocca ci sarà ancora speranza, per evitare l’«eutanasia digitale dell’uomo conosciuto» (p. 76).

L’uomo conosciuto, l’uomo come l’abbiamo conosciuto, potrebbe trasformarsi, o ultimare in modo nefasto il processo di trasformazione, in inforg, l’abitatore dell’infosfera e di questo mondo evaporato e inconsistente. Il portato politico è allora facilmente desumibile: non essendoci più un mondo di libere scelte, il mondo originario dal quale la specie umana è germinata come tutte le altre specie; non essendoci più la relazione mente-corpo-ambiente che secondo alcuni fenomenologi contemporanei come Chalmers struttura la mentalità condivisa, la storia e la memoria collettiva su cui si erige l’identità di ciascun individuo, il controllo bio-politico (di qualunque genere, fazione o parte esso sarà) avrà raggiunto lo scopo che ogni potere di tal fatta ambisce a ottenere, ovvero, e andiamo al cuore della questione, annullare qualunque bio integrandolo completamente nel politico.

Il volume di Mazzarella si conclude con un appello etico, o per meglio dire bio-etico: riflettere seriamente sulla biologia e la complessità corporea di cui siamo fatti, e applicare il «tradizionale divieto politico, giuridico, morale di fare o non fare» (p. 124). Ma per fare ciò si rende necessaria una solida prospettiva filosofica di base, una visione del mondo teoreticamente sorretta e rigorosamente concettualizzata che sappia ritrovare e applicare l’orgoglio di una tradizione di pensiero, quella occidentale, la cui eco riverbera da ogni pagina di questo libro. Come ad esempio il sempre valido Nietzsche, punto di riferimento costante per l’autore, per il quale, pensando allo Zarathustra, c’è più ragione nel nostro corpo che in qualunque saggezza: il corpo da ascoltare, con cui mettersi in dialogo, rispettare, verso il quale avere pazienza. La questione del digitale, ricorda Mazzarella nelle ultime battute, è quindi ineludibile. Con un’affermazione assolutamente non esagerata, il «dossier digitale» (p. 141. Il corsivo è nel testo) sul tavolo del futuro, e che deve essere sfogliato a ogni costo, ha una forza distruttiva pari a quello nucleare, che ha portato alla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, e a quello genetico sulla scoperta del Dna e di tutto quanto ne consegue.

Mazzarella chiude con un’ironia sul morire in quanto prova dell’insistenza e della presenza molto più potente di qualunque cogito cartesiano possibile («Chiudo queste pagine mentre si muore nella realtà, e non nel Metaverso»). Ma, da poeta, pensa anche a dei bellissimi versi di Rilke, in cui percepisco non soltanto il timore per la perdita di un mondo, il nostro, bensì di quell’aria che gli umani muovono mentre sono in vita, e che a volte diventa musica nella parola e viceversa, la poesia: l’aria del respiro, che è l’altro nome dello spirito e che solo un corpo può avere, «il corpo come salvezza dello spirito» (p. 60).

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