Luca Baldassarre (1989) è docente di Filosofia e Storia nei licei. Laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi su Theodor W. Adorno, ha successivamente svolto attività di ricerca sulla Teoria critica della Scuola di Francoforte, con particolare interesse verso le varie declinazioni della critica dell’industria culturale. Fra le sue pubblicazioni: La Scuola di Francoforte. Una introduzione (Editrice Clinamen, Firenze 20213); Gli scrittori neri della borghesia. Theodor Adorno e il finale di partita (Clinamen, 2016); Gli uomini del cortocircuito. Per una critica dell’infantilismo ipermoderno (Clinamen, 2017).
L’eco del conflitto in Medio Oriente sta replicando, in maniera più intensa, le ripercussioni europee della guerra di Crimea. L’opinione pubblica reagisce per riflesso condizionato polarizzandosi: schierarsi diventa un imperativo etico. L’abusato anatema vagamente gramsciano contro l’indifferenza diventa l’alibi e la copertura ideologica per la fretta con cui si ritiene di dover prendere posizione.
Sembra quasi che queste pratiche di collocazione ideologica possano avere, nelle intenzioni di chi le esercita, ricadute effettuali. Sembra quasi, cioè, che il posizionamento dell’opinione pubblica possa condizionare immediatamente le scelte di governo.
In realtà il dovere di schierarsi incombe soltanto su chi è chiamato a queste ultime: spesso i tempi delle responsabilità di governo non si accordano con quelli della riflessione, spesso l’attività politica richiede prontezza di decisioni e rapidità di esecuzione. Viceversa, chi è svincolato da dirette responsabilità di governo avrebbe tutto il tempo per meditare, approfondire, studiare; per cercare di costruirsi un’idea che non cada nella facilissima tentazione della partigianeria. Questa, infatti, non può mai essere il prodotto di uno studio attento e riflessivo: al contrario, la faziosità delle posizioni è sempre, inevitabilmente, il frutto di condizionamenti dell’opinione pubblica, le cui due frange contrapposte credono invece di agire spontaneamente.
Propaganda e posizionamento ideologico fanno tutt’uno: chi può permettersi di esercitare la propria libertà di pensiero, in virtù della propria immediata impotenza sul piano decisionale, è portato a reagire a questa impotenza e ad affrettarsi ad indossare la casacca, nella ingenua, accecata convinzione di avere voce in capitolo. E così chi parteggia per gli uni inneggia all’antisemitismo, nascosto sotto trasparenti foglie di fico, e giustifica massacri terroristici, chi parteggia per gli altri minimizza le stragi di bambini innocenti.
Ma chi non ha responsabilità di governo dovrebbe esercitare la propria responsabilità di pensiero: non prendere posizione non è un diritto, è un dovere. Non prendere posizione è un atto politico, l’unico capace di mediare ed orientare proprio quelle scelte governative che da sole sarebbero cieche. L’influenza dell’opinione pubblica sull’indirizzo politico potrebbe incidere soltanto nella misura in cui rinunciasse ai tempi accelerati della prassi immediata per indugiare nello studio e nella riflessione. Ma si sa che, ormai, di questi tempi non c’è più tempo per avere tempo.