Elisabetta Sanzò (Campobasso, 1982) ha conseguito una Laurea Magistrale in Comunicazione Pubblica d’Impresa e Pubblicità presso l’Università degli Studi del Molise discutendo una tesi dal titolo La comunicazione come dialogo in Hans Georg Gadamer (Relatore: Vincenzo Costa – Correlatore: Flavia Monceri).
Recensione a
P. Naso, Le religioni sono vie di pace. Falso!
Laterza, Roma-Bari 2019, pp. 132, €12,00.
In Le religioni sono vie di pace. Falso! il giornalista e politologo Paolo Naso indaga le ragioni del rinnovato interesse verso le religioni in un tempo che si pensava definitivamente secolarizzato. L’obbiettivo dell’autore, che lui stesso definisce «volutamente polemico», è quello di smascherare il luogo comune che vede le religioni come vie di pace, «modelli irenici» per eccellenza. Partendo dalla constatazione che viviamo in un «mondo inquieto e attraversato da decine di conflitti», Naso esplicita la sua tesi individuando nel fallimento della politica, nella sua forma democratica, uno strumento tecnico non più utile a stabilire e mantenere la pace. Nel sostenere che «la politica della laicità e della separazione tra gli stati e le comunità di fede oggi cede il passo alle nuove fedi» mostra una politica che non esita a sacralizzarsi in nome dell’identità nazionale facendo del fattore religioso un vessillo dei movimenti sovranisti.
Lungo il corso della storia le religioni, attraverso l’improprio uso che dei loro simboli e riti è stato fatto, non di rado si sono rese complici di una cultura del conflitto. Per Naso le religioni mancano di qualsiasi «purezza a-storica»: non si possono comprendere se non nella loro funzione sociale e pubblica. Se è vero, come molti critici sostengono, che ogni conflitto è legato ad interessi materiali, politici o economici, non si può, comunque, non riconoscere alle religioni una certa «disponibilità ad arruolarsi nelle schiere dei combattenti». Considerare le religioni come costruttori di pace è più una nostra aspettativa che un fatto corrispondente alla loro effettiva storia. Basti pensare alle pagine cruente del vecchio testamento, ricche di immagini di distruzione che anticipano il Regno di Dio, per rendersi conto che le religioni sono state sin dall’origine intrise di violenza. Non è un caso che siano proprie le pagine dell’antico testamento ad ispirare un certo fondamentalismo. E fa pensare che lo stesso catechismo della religione cattolica, ancora oggi, al n. 2309, parli, a determinate condizioni, di «guerra giusta». Arrivare «ad un’interpretazione più storicizzata e materializzata delle religioni» è quindi necessario, secondo Naso, per capire che esse «pur nello sforzo di non farsi trascinare nelle logiche del mondo per essere significative e presenti devono operare nel mondo», così che, non raramente, finiscono per «assumere le logiche e i meccanismi della politica».
I conflitti di natura politico-religiosi, seguiti alla riforma protestante del 1517, portano prove concrete al ragionamento politico condotto nel saggio. Dalla minaccia turca che persistette sull’Europa fino al 1683, anno della sconfitta degli Ottomani a Vienna, agli scontri tra cattolici e protestanti che, a più riprese, insanguinarono i territori del Sacro Romano Impero non sono pochi gli esempi che «confermano la politicità delle religioni e la loro rilevanza geopolitica». La pace di Augusta siglata tra Carlo d’Asburgo e i principi tedeschi nel 1555 sancì il principio del «cuius regio eius religio»: la religione di un dato territorio era definita da chi vi esercitava il potere. Quello stesso principio, un «principio impositivo, di coercizione della libertà religiosa», verrà ribadito con più forza dalla pace di Vestfalia, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni.
La Guerra dei Trent’Anni, madre di tutte le guerre di religione, sommò in sé le tensioni tra cattolici e protestanti da un lato con il progetto degli Asburgo di ridare vigore alle istituzioni decadenti dell’Impero, contro le tendenze autonomiste dei prìncipi locali. La pace di Vestfalia definì l’assetto politico dei moderni Stati europei ma, soprattutto, un ordine geo-religioso che «resiste ancora oggi». Paolo Naso fa notare, infatti, che «nonostante la […] progressiva marginalizzazione dei comportamenti e delle pratiche religiose si può ancora parlare di paesi protestanti e cattolici secondo una mappa geo-religiosa che coincide con quella stabilitasi con la pace di Vestfalia». La diversa etica del lavoro o l’attenzione data al concetto di responsabilità individuale sono indice di quei diversi modelli valoriali.
L’icona perfetta di una teologia politica sarà la copertina del Leviatano di Thomas Hobbes: un sovrano la cui sagoma composta di tanti minuscoli individui regge in una mano la spada, simbolo del potere temporale e nell’altra il pastorale del potere religioso. Altra testimonianza delle fragilità delle utopie di pace di fronte al potere politico e alle sue strumentalizzazioni saranno le avventure coloniali. La “conquista dell’America”, nella definizione dello storico Tzvetan Todorov, vide Spagna e Portogallo agire «come due Stati missionari e teocratici» che, attraverso «metodi coercitivi e brutali», imposero l’evangelizzazione alle “nuove” terre. Le religioni sono state protagoniste anche dei più sanguinosi conflitti del Novecento: il genocidio degli armeni, le leggi antiebraiche, la guerra dei Balcani e il genocidio del Rwanda.
Oggi, invece, a destabilizzare la convivenza democratica è intervenuta la «versione armata e agguerrita delle religioni», il fondamentalismo. Il termine, a dispetto del senso comune che lo associa all’Islam radicale, fa la sua comparsa negli Usa nel 1920. Fu Curtis Lee Laws, editorialista di un periodico battista, ad applicare l’etichetta di fondamentalisti a un gruppo di teologi presbiteriani che ribadivano l’ortodossia protestante contro il liberalismo teologico. Oltre al fondamentalismo islamico, generalizzazione di una miriade di organizzazioni (Salafiti, Fratelli musulmani, Hezbollah, Talebani, Hamas, Ennahda, al Qaeda, Isis, Boko Haram) accumunate da un’«“utopia retrospettiva”», tesa alla purezza dell’islam delle origini, e da un «rabbioso radicalismo antioccidentale», fondamentalismi si hanno anche nel mondo cattolico e ortodosso. A mostrare tendenze integriste è sia il fondamentalismo evangelicale, influente nelle stesse presidenze repubblicane degli Usa degli ultimi anni, sia i conservatori anticonciliari lefevriani, Alleanza Cattolica, Centro Lepanto ecc. vicini a forze di estrema destra di cui condividono, tra le altre cose, politiche contrarie all’aborto, alle coppie gay, all’Islam in Italia. Allo stesso modo frange estremiste di matrice ortodossa mettono ai margini gli aderenti di altre confessioni. Così è avvenuto per i Testimoni di Geova nella Russia di Putin con l’approvazione di leggi limitative della libertà religiosa. Fondamentalista è stato anche il Gush Emunim, una formazione politico religiosa, fautrice della colonizzazione della Terra di Israele e della crescita dei partiti nazionalisti religiosi. La violenza non è, però, un tratto distintivo delle sole religioni rivelate e monoteiste, il cui principio dell’unicità di Dio le rende intrinsecamente esclusive. Preoccupante è la situazione del Myanmar dove nel 2011 un gruppo fondamentalista, il 969, insieme a forze del potere buddista cingalese, si è reso responsabile di una pulizia etnica religiosa nei confronti della minoranza musulmana di etnia Rohingya.
Caratteristica dei fondamentalismi, sostiene Naso, è che si sviluppano «su scala di diverse intensità e di graduale incidenza sul sistema politico, andando dal minimo di richieste democraticamente sostenibili a tutela di prescrizioni e tradizioni religiose al massimo di azioni violente contro gli avversari». Il nuovo protagonismo delle religioni, viste dall’autore come «gusci identitari rassicuranti e protettivi» per uomini delusi dalla globalizzazione, dimostra una sola cosa: il fallimento della politica. Naso accusa la politica di essersi ridotta a «pratica locale di organizzazione del consenso», priva di qualsiasi slancio ideale o visione universale. La conclusione a cui Naso guida il lettore è che «la pace è politica o, semplicemente, non è». La politica è tale se è in grado di garantire ordine, giustizia, convivenza ad una società complessa e plurale riconoscendo diritti e doveri che prescindano dall’appartenenza ad una comunità di fede. Il principio di laicità, vero protagonista di tutto il saggio da riscoprire e salvaguardare, risulta essere l’unico «viatico possibile alla convivenza democratica».