Recensione a: E. Palma, De scriptura. Dolore e salvezza in Proust, Mimesis, Milano-Udine 2024, pp. 270, € 26,00.
Molteplici, innumerevoli, affascinanti sono le letture di À la recherche du temps perdu che un secolo di critica letteraria ci ha donato, proposto, lasciato. Anche per questo leggere un libro che ci apre ancora altri itinerari dentro l’opera – che la coglie da una prospettiva forte (ben lontana da ogni postmoderno) e nello stesso tempo pacata e appassionata – conferma e ci offre il «puro gaudio» (p. 146) che Enrico Palma attribuisce all’esperienza che la Recherche è sia per il suo Autore sia per il lettore.
Palma individua con molti argomenti e descrive con grande chiarezza un’Opera-cosmo che è certamente patrimonio per sempre delle Lettere ma che è anche e specialmente un’opera teoretica, antropologica, psicologica, sociologica nella quale l’«essere-per-la-scrittura» (p. 143) delinea una «metafisica teologica, materialistica e flussica» (p. 187).
Formula veramente esatta nella quale vengono a sintesi la dimensione sacra del libro, il suo completo disincanto su qualunque ‘Ideale’, la vibrazione continua che ne attraversa le pagine e che fa dei personaggi, dei luoghi, delle circostanze, dei sentimenti, dei cieli e della terra una vera e propria ontologia che si manifesta sempre come «un’analitica esistenziale da cui ricavare le strutture metafisiche dell’essere-nel-mondo e del vivere-nel-tempo» (p. 108), Un’opera nella quale «la verità, l’essere e il tempo sono messi in questione e analizzati» (p. 111) attraverso una trattazione che si articola nella forma di una trama e in una trama che è essa stessa trattazione della vita e della morte, del significato e dell’enigma, dello stare e del divenire.
Opera sacra quindi, opera epifanica e teofanica, mediante la quale il mondo si disvela e il dio si mostra. Quale mondo, quale divinità? Un mondo intriso di limite, di abbandono, di desiderio e di morte e che però a ogni pagina trasforma questi esistenziali in linguaggio e apprendimento, «nella luce della parola» (p. 248) e quindi in una Gnosi che viene individuata da Palma come l’elemento più profondo che plasma dall’inizio alla fine la Recherche donandole per intero la sua radicalità. Se il tempo è distruttore dei viventi, dell’umano e delle opere è perché nei viventi e nell’umano abita una colpa dalla quale si originano le grandi religioni e che Anassimandro e lo Gnosticismo hanno posto al centro della stessa storia degli enti, del loro esserci per un certo tempo e dover poi lasciare luogo ad altro κατὰ τὸ χρεὼν, per intrinseca necessità dell’essere. Per questo secondo Proust il tempo è «le cose stesse, la loro materia» e «l’umano possiede la capacità fondamentale di prelevare» dal divenire tale materia e queste cose «per salvarle, prolungarle nel futuro e soprattutto tenerle distanti dal peccato delle passioni umane e dalla morte» (p. 15), e questo mediante la scrittura.
Anche per aver individuato tale sacralità del tempo che è insieme giudice, distruttore e salvezza, Proust è stato «il filosofo più intellettualista, lo gnostico più perfetto» (p. 214).
I grandi personaggi e le situazioni fondamentali della Recherche sono figure e gesti di questa Gnosi del divenire e della finitudine, della morte e del limite la cui intelligenza come coglimento dell’inevitabile giustezza della metamorfosi è la comprensione più lucida del tempo stesso. Perché il tempo è anche metamorfosi della dissoluzione.
I grandi personaggi e le situazioni fondamentali della Recherche sono figure e gesti di «un pensiero titanico» (p. 251), di «un mondo fatto interamente di tempo, parole e scrittura» (123) e che anche per questo può assumere dei tratti che sono inseparabilmente materici, empirici, immersi nei desideri anche più estremi ed essere insieme formali, universali, oggettivi e platonici. Perché il mondo e la vita sono questa molteplicità e «l’arte è la festa cangiante della Differenza» (p. 100).
Albertine è una forma platonica ed è anche una ragazzina enigmatica, ambigua, innocente, maliziosa, sfuggente. È il personaggio nel quale la teoresi proustiana arriva al suo acme anche perché «è la rappresentazione dell’Opera dentro l’Opera. A più riprese come si è visto la fanciulla viene definita maga, dea e opera d’arte del Tempo» (p. 72). Cercando di possederla, «le labbra di Marcel baciano la gioia, il suo tempo perduto» (p. 27).
Gemello di Albertine è l’altro personaggio totale della Recherche, il barone di Charlus. Personaggio che è il padrone e il mentore della mondanità parigina e francese, è l’erede della grande nobiltà medioevale, è il «duca di Brabante, donzello di Montargis, principe di Oléron, di Carency, di Viareggio e des Dunes» come ricorda a uno stupefatto plebeo quale il signor Verdurin il quale gli aveva obiettato che rispetto al marchese di Cambremer lui era «solo un barone»[1]. Una figura che sembra dunque così lontana dalla fanciulla in fiore e che però è il suo omologo in quanto come Albertine, anche se in modi naturalmente diversi da Albertine, «il barone è infatti tutti i vizi e le virtù. […] È veramente la sintesi delle passioni nel modo in cui Proust le ha comprese, un pianeta in cui non ci sono né bene né male, ma solo il suo moto di rivoluzione che descrive la traiettoria delle stagioni, dei mesi e dei giorni dei caratteri umani. È il Teofrasto di Proust, il suo grand enfant in un libro innamorato di gioviali ragazzine» (p. 134).
La ragazza e l’aristocratico, lo scrittore Bergotte e il musicista Vinteuil, l’esteta Swann e il pittore Elstir sono anche dei pedagoghi i quali insegnano, con le loro figure e le loro vicende, «la salvezza come serenità di fronte alla morte che sempre siamo, per andarsene alla fine della vita, dal tempo, assolti» (p. 17) in una perenne e sempre rinnovata indifferenza ludica al morire se del vivere si è scoperto il peso di leggerezza, di ironia, di trasformazione.
Queste figure e i loro simboli, ogni parola vergata da Proust così come emerge dalle pagine di questo libro, ci insegnano che quando il volgere delle vite, della storia e delle galassie avrà reso nullo tutto ciò che per noi è stato, «rimarranno il Cosmo, il Tempo e la loro eterna Giovinezza» (p. 261).
Ciò che Palma scrive a proposito di Vinteuil è una ben chiara ed esatta descrizione dello gnostico, della persona gnostica che Marcel Proust è stato: «Un tempio distrutto dal dolore della materia e ricostruito nella luce» (p. 96), la luce della scrittura, di questo geroglifico che è tempo che sfida il tempo e sul quale come «sul viso delle fanciulle» (p. 262) continua a splendere il Sole di una gioia inspiegabile.
[1] M. Proust, À la recherche du temps perdu, «Sodoma e Gomorra II», trad. di G. Raboni, Meridiani Mondadori, Milano 1989, vol. III, p. 180.