Fabio Di Nunno (1980) è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali, presso Sapienza Università di Roma, dopo una laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche conseguita presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e una laurea in Comunicazione pubblica e d’impresa, presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Ha anche conseguito un master in Studi Politico-amministrativi europei, presso il Collegio d’Europa di Bruges, e un master in Marketing e comunicazione politico-istituzionale, presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS). Collabora con le cattedre di Storia e Istituzioni dell’Unione europea e Storia delle mafie, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). È coordinatore del comitato scientifico di Human Rights Open Ebook. Contribuisce agli "Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici", presso il quale è stato borsista. È autore e coautore di saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: Educazione ai Diritti Umani con adulti - Manuale per educatori, docenti e attivisti (2011) e L’Italia e il Compromesso di Lussemburgo (1965-1966) [2012]. Giornalista pubblicista, scrive per varie riviste, tra le quali "Città Nuova", per la quale tratta di affari internazionali e diritti fondamentali. È membro del Team Europe Direct, a supporto delle attività di comunicazione della Commissione europea.
Recensione a: L’università per l’Europa: società e stato, a cura di E.P.C. Alessiato, Editoriale Scientifica, Napoli 2023, pp. 142, € 12,00.
Il libro, curato da Elena Paola Carola Alessiato, offre un’interessante chiave di lettura sul ruolo dell’università oggi. Nell’introduzione, Lucio d’Alessandro sostiene che l’università europea, e in primo luogo italiana, essendo l’Italia riconosciuta globalmente come una superpotenza culturale, rappresentata anche e soprattutto un’occasione straordinaria per farsi polo di attrazione per le classi dirigenti dell’area mediterranea. Ancora di più, «ora più che mai, nel tempo segnato dalla “catastrofe”, da una impensabile duplice cesura (il ritorno della pandemia e della guerra), l’università deve agire quale attore principale nell’orizzonte acutamente individuato da Walter Benjamin nella sua filosofia della storia: “rapportarsi alla storia è infatti interrotte nel passato e riammetterle come strumenti per un futuro possibile”». Egli, infatti, ritiene che quel vuoto di orientamento che caratterizza le nostre società pluralistiche, aperte, fluide, precarie, individualistiche, possa essere colmato con pratiche di pensiero trasversali, flessibili, a-ideologiche, dialettiche, recettive e aperte alla contaminazione, in una prospettiva di life long learning. Un altro vuoto, quello di sapere, laddove il saper fare specialistico viene sempre più richiesto dal mondo del lavoro, impone alle università di intercettare le richieste di innovazione e specializzazione proprio da quei contesti produttivi di riferimento. Un ulteriore vuoto è quello di valori, a cui l’università risponde con l’integrazione dei saperi, attraverso un nuovo umanesimo o un umanesimo digitale.
Stefano Paleari identifica alcune minacce ed opportunità per l’università, nella nuova geografia della conoscenza, individuando quei fattori sociali, economici e geopolitici che hanno ingenerato un livello di incertezza senza precedenti, così come una costante riduzione delle risorse. Egli sostiene che la ricerca scientifica ha bisogno di due spazi, che alcune tendenze e scelte attuali rischiano invece di ridurre, quali la libertà di pensiero, cioè l’indipendenza da interessi particolari, nonché il pensiero laterale, cioè la capacità di guardare le cose, soprattutto se complesse, in una prospettiva non tradizionale, al fine di generare nuove soluzioni.
Il ruolo delle libere università, espressione più pura dell’art. 33 della Costituzione, che si finanziano prevalentemente con le rette, è analizzato da Aldo Santulli, che accenna anche al processo di statalizzazione di alcune università per lungo tempo libere e alla crescita convulsa delle università a partire dagli anni ’90, che oggi sono novantasette. Parallelamente è cresciuto il numero degli studenti universitari nel mondo, passando dai trenta milioni degli anni ’70, agli attuali duecento milioni, con la previsione di giungere al mezzo miliardo nell’arco di dieci anni. Secondo l’autore, la libera università «lungi dall’essere un adempimento normativo e amministrativo da tollerare, è un elemento necessario del sistema universitario reticolare, misto e aperto disegnato dalla Costituzione», un attore dello sviluppo socio-economico del locale, che acquisisce poi un prestigio globale.
Interessante, poi, l’analisi di Michael Quante, secondo il quale, in un’epoca di disordine geopolitico globale e di decadenza culturale, dopo la stampa, caratterizzata da un processo di sempre maggiori concentrazioni, l’università potrebbe rappresentare un quinto potere a servizio di una rinascita sociale, culturale e politica.
Andrea Peto presenta la prospettiva dell’Europa dell’Est e, in particolare, dell’Ungheria, affrontando la questione della creazione di sistemi alternativi e delle istituzioni accademiche alternative illiberali, in una fase storica che ha visto l’emergere di Stati illiberali, caratterizzati dalla riduzione della libertà di stampa, dalla normalizzazione della corruzione, dall’eliminazione della competizione e del mercato libero, dalla sostituzione dei funzionari nel sistema giudiziario, dalla modifica del dettato costituzionale e della legge elettorale.
Ancora, David Capitant offre una prospettiva dalla Francia sull’università tra missione e gestione in una società ipermoderna, dove l’efficienza sostituisce la legittimità e la gestione sostituisce la politica. In questo contesto, laddove oramai la politica universitaria è incentrata sui confronti internazionali basati sui cosiddetti rankings, «l’università deve riaffermare l’importanza della validazione scientifica del sapere a fronte di una relatività che contamina tutti gli ambiti della vita sociale e che oggi è rafforzata dallo sviluppo di reti sociali».
Infine, Elena Paola Carola Alessiato illustra il variegato panorama delle università in Italia e in Europa, a partire dalla loro nascita, nel 1088, quando maestri di grammatica, di retorica e di logica si riunirono a Bologna nello Studio, per riflettere sulla complessità delle cose. Ella sottolinea l’eredità di quelle università, con il richiamo a «una comunità di docenti e studenti che si rendono reciprocamente e attivamente partecipi di un percorso di scambio, riflessione e scoperta». Se, oggigiorno, correliamo l’università allo Stato, ella ricorda che questo è l’esito di un processo di assorbimento progressivo che non nasceva necessariamente da una contrapposizione alle autorità (politica, spirituale o religiosa), ma accanto a tale autorità, rivendicando la propria autonomia.