Enrico Palma (1995) è dottore di ricerca in Scienze dell'interpretazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania. Nel 2022 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento per la classe di concorso A019 (Filosofia e Storia). Le sue aree di ricerca sono la filosofia teoretica, l’ermeneutica letteraria e i paganesimi antichi. Ha pubblicato saggi e articoli per riviste di filosofia, letteratura e fotografia. Con la cura del volume Psyché. L’anima ha contribuito alla collana del «Corriere della Sera» dedicate a Greco. Lingua, storia e cultura di una grande civiltà  (a cura di M. Centanni e P.B. Cipolla, 2022/2023). È redattore della rivista culturale online «Il Pequod».

Recensione a: F. Franzin, L’altra America. L’anima profonda degli Stati Uniti, dall’identità sudista al fenomeno Trump, Passaggio al Bosco, Firenze 2022, pp. 194, € 15,00.

Nonostante la grande ingerenza geopolitica, il controllo militare e una politica estera che potremmo anche definire come neo-coloniale o neo-imperialista, gli Stati Uniti rimangono una civiltà assai turbolenta, percorsa da contraddizioni anche violente ed esplosive, che affondano in un terreno di problematiche irrisolte e di spinte anti-democratiche o, se vogliamo, ultra-democratiche ma aggressive, volte a difendere quell’idea di democrazia e società civile che il governo federale, con il suo atteggiamento spesso altrettanto violento e repressivo, agli occhi di alcuni cittadini mette seriamente a repentaglio. Il libro di Federico Franzin cerca quindi di cogliere, come suggerisce il titolo, l’altro volto dell’America, quello che difficilmente trova posto nelle narrazioni dei Paesi occidentali sotto la sua area di influenza, un popolo solcato da stragi, scontri e questioni ideologiche, discriminatorie e storiche ancora irrisolte e che l’approccio storico-cronachistico del volume mette bene in luce.

Al di là quindi di un’America solidale verso i Paesi europei suoi alleati, ma considerati soltanto come l’appendice necessaria per la sopravvivenza della sua stessa economia capitalistica, luoghi cioè da colonizzare culturalmente e in cui il surplus delle merci, di qualunque tipo, può essere venduto, conosciamo una realtà vibrante e, come ricorda molto spesso l’Autore, sempre nell’imminenza dell’esplosione. Una delle profezie sulla vita futura degli Stati Uniti è una violenta guerra civile, tra culture non integrate tra di loro che spesso sono costrette a convivere con retaggi molto antichi di discriminazione e di presunta superiorità razziale. Uno dei meriti del volume è, infatti, quello di discutere i casi presi di volta in volta in esame senza alcun pregiudizio valoriale, benché il punto di vista sia chiaramente orientato a far emergere il taciuto, ciò che abitualmente si dice essere nascosto sotto il tappeto della storia.

Viene quindi delineato un quadro degli Stati Uniti tutt’altro che idilliaco, ben lungi dall’essere l’oasi felicemente democratica in cui le differenze vengono accettate, condivise e valorizzate, ma l’esatto contrario, e i fatti di violenza a volte inaudita (come gli scontri di Los Angeles o l’attentato realizzato a Oklahoma City da Timothy McVeigh) stanno a dimostrare l’estrema instabilità e la disarmonia sociale e politica, che rappresentano ben più di un controcanto all’american dream, adesso degenerato nelle metropoli di lusso come New York o Chicago e nelle lobbies finanziarie che decidono ai massimi livelli la politica sia interna che esterna incidendo sulle elezioni. L’altra America di cui parla Franzin ha un volto ben riconoscibile come quello di Donald Trump, che costituisce, almeno idealmente, il punto di massima espressione di questa America arrabbiata, retrograda, conservatrice, razzista e che sente fortemente minacciata la propria identità culturale, soprattutto se si parla della cosiddetta razza bianca dominante.

Contraddizioni irrisolte serpeggiano anche nei movimenti a difesa dei diritti dei neri come Black Lives Matter, in cui oltre a denunciare il pregiudizio razziale di gran parte della società americana verso i neri, che diventa poi fatale in alcuni comparti della polizia, figura un ulteriore pregiudizio che vede nel «maschio, bianco eterosessuale, “colpevole” di un peccato originale che i nefasti effetti del “white guilt” sembrano mostrare con preoccupante evidenza» (pp. 34-35), a dimostrazione del fatto che il problema discriminatorio non appartiene a una sola fascia della popolazione ma è esteso a tutte le etnie e le culture, che anziché livellarsi su principi e valori comuni a tutta la società americana parteggiano per se stesse dando in questo modo adito a possibilità di conflitti sempre imminenti.

Gli incidenti sono allora innumerevoli: la società equa e giusta che era un proclama della società americana sin dal Secondo dopoguerra non è stata per niente raggiunta, anzi, le divisioni sono aumentate e anche le istituzioni volte a garantirne l’ottenimento sono contaminate con il germe del pregiudizio, dell’odio e della violenza. L’autore ricorda allora l’importanza di conoscere tafferugli, stragi e conflitti armati non per un semplice dovere di cronaca bensì per far emergere lo status quo degli Stati Uniti, soprattutto delle città di media grandezza o delle zone agricole molto lontane dalle vetrine mediatiche e dei grandi mercati: «Perché rammentare questi incidenti? Per rimarcare le contraddizioni e i rischi di una società multirazziale che sembra assumere le sembianze di una polveriera pronta a esplodere» (pp. 35-36). Il giudizio è dei più duri, anche disarmanti per chi si accontenti dei comunicati ovattati della Casa Bianca o delle immagini televisive di Central Park, e alcuni episodi, come il recente assalto al Campidoglio, stanno a dimostrare un fermento anti-istituzionale, anti-governativo e ultra-reazionario che minano alle fondamenta la rappresentazione stessa degli Stati Uniti come il luogo della riuscita applicazione del modello multirazziale come frontiera della società futura, in cui realtà così diverse ed eterogenee tra di loro possono convivere e dialogare al meglio sotto l’egida di una costituzione democratica e di possibilità di ricchezza e realizzazione individuale garantite per tutti, indiscriminatamente.

Gli Stati Uniti appaiono come un grande calderone in ebollizione, dentro il quale fermentano i fattori di divisione più tradizionali: l’antisemitismo e il cospirazionismo ebraico, la questione razziale, la supremazia della razza bianca, fondamentalismi religiosi di ogni tipo, fanatismi anti-sistema che evolvono in milizie private, le stesse che in comunicazione tra di loro tramite social e fomentate da un leader politico o da figure a lui vicine possono occupare indisturbate per un giorno il luogo più sacro della democrazia statunitense, esibendo con ciò quanto gli States siano lontani da un concetto sostenibile di integrazione sociale.

Ma si tratta anche di involuzioni, di trasformazioni o di ravvedimenti, persino di capovolgimenti, che spesso assumono i caratteri di una vera e propria conversione: ferventi sostenitori della nazione americana (vedi McVeigh) che prima si trovavano a ricoprire ruoli anche importanti nell’esercito o nei gangli dell’amministrazione pubblica, ma che stando a contatto con una realtà ben diversa da quella che la narrazione mainstream aveva fin lì raccontato decidono di votarsi all’idea opposta e di distruggere, per attaccamento alla Costituzione, quella nazione così bugiarda, assassina e vessatoria. La storia di McVeigh, addirittura successivamente avvicinato per lettera da Gore Vidal, è ben riassunta dall’Autore come una figura che sintetizza le profonde storture ideologiche e politiche che nascondono gli Stati Uniti sia come paradigma democratico che come guida ormai indiscussa della vita collettiva, culturale ed economica della maggior parte del globo:

Nel 1988, a liceo finito, si arruola nell’esercito: nel 1990 parte per il fronte iracheno nell’operazione Desert Shield. Qui, però, qualcosa, qualcosa cambia la sua visione del mondo. Si accorge presto che di fronte non ha gli occhi assetati di sangue americano che aveva sentito descrivere alla televisione, ma gente che vuole solo difendere se stessa e la propria terra. Si rende conto che i motivi che hanno spinto tutti quegli americani ad uccidere e farsi uccidere, non sono legati alla difesa della Costituzione e della democrazia, ma agli interessi plutocratici di una casta che dirige le scelte del governo. Quando torna in America, si sente un esule in patria: un uomo libero, ma assediato dal proprio governo (p. 135).

A partire da questo evento, McVeigh inizierà il lungo apprendistato che lo condurrà a progettare il più sanguinoso attentato in terra americana prima dell’11 settembre, in cui perderanno la vita ben 168 persone.

Quale aspetto può avere la società americana, alla luce di questi episodi? Sicuramente l’immagine della polveriera evocata dall’Autore è molto calzante e corrispondente al vero, e le proteste di BLM ne sono state una dimostrazione valida. Ma ciò che si percepisce chiaramente è una matrice violenta che lungo i secoli della storia americana non ha trovato ancora una normalizzazione, poiché troppo facile, nonché lontano dal vero, sarebbe interpretare questi casi come episodi di sporadica follia, frustrazione esistenziale o ignoranza diffusa. È il progetto America a essere poco convincente, una democrazia dai tratti poco democratici i cui obiettivi non sono l’integrazione sociale o il benessere collettivo ma gli interessi economici di parte che lasciano molte istanze del Paese inascoltate o, più gravemente, ignorate e abbandonate al loro destino, scarsamente rappresentate da un governo centrale che non riesce o non vuole interpretarle (p. 151).

Tutto questo, apparentemente lontano da noi, è comunque una questione che riguarda la vecchia Europa come se fosse un problema interno, poiché, come si diceva, essa ormai da decenni subisce l’influsso (forse anche il dominio) degli Stati Uniti, e se accadrà qualcosa «il botto si farà sentire in tutto l’Occidente, esattamente come ora si espandono fino a noi i conflitti, le crepe culturali e le nuove forme di dittatura del pensiero unico» (p. 182). Non resta quindi che restare vigili e sensibili a tali criticità che, riguardando gli Stati Uniti, richiamano invero l’intero Occidente.

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