Massimiliano Filippelli è insegnante, specializzando presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

Il 5 marzo 1922 nasceva il grande artista friulano, Pier Paolo Pasolini, ogni definizione è riduttiva per una figura che ha saputo lasciare contributi rilevanti nei vari campi artistici, dalla poesia al romanzo, dal cinema  alla pittura, dalla saggistica  al teatro,  insomma una figura rinascimentale. Ma Pasolini più di tanti artisti si ricorda per ciò che ha rappresentato, per la sua vita che ha incarnato la sua arte, la sua denuncia contro l’impostura del nuovo fascismo da lui identificato nella società dei consumi. Un personaggio accostato a D’Annunzio e Malaparte, quando l’arte non era ancora staccata dalla vita, quando il poeta lo era anche fuori dalla sua “torre d’avorio”. Bisogna ricordare che in Pasolini c’era questa tensione crescente per trovare un linguaggio sempre più aderente alla realtà fino ad arrivare al cinema e alla denuncia dell’ingiustizia attraverso i suoi articoli nell’ultima parte della sua vita: «gettare il corpo nella lotta», come aveva scritto.

 Prima di tutto, Pasolini è rimasto fedele alla sua vocazione poetica (en poète) nella sua accezione più nobile, anche quando si dedicherà ad altre forme espressive, pensando al cinema di poesia, all’opera di poesia che è il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e Uccellini, Mamma Roma  ecc… Anche nei suoi scritti ultimi (Scritti corsari e Lettere Luterane), c’è chi ravvisa i caratteri della poesia e addirittura c’è chi dice che Pasolini sia più poeta quando non scrive poesia. Per me la grandezza di Pasolini è stata quella di una inesauribile lotta contro un mondo che rifiutava la sua “voce” (il mondo non mi vuole e non lo sa) e la sua incursione in vari campi espressivi per dire la sua verità, spesso e soprattutto scomoda e urtante.

L’artista friulano, l’intellettuale del dissenso è stato forse l’unico esempio in Italia che ha svolto la sua critica e visto ciò che sarebbe diventata la società italiana, la mutazione antropologica durante il cosiddetto boom: «Nel restare dentro l’inferno con marmorea volontà di capirlo, è da cercare la salvezza. Una società designata a perdersi è fatale che si perda: una persona mai».

La sua testimonianza, nella sua risonanza religiosa cristiana legata a martire, attesta perché vede con i propri occhi e ascolta con le proprie orecchie; è una testimonianza nel suo tempo, ma non soltanto del suo tempo. Il “Poeta delle ceneri”, ha visto ingiallire le sue speranze in una palingenesi sociale, ha visto leggendo i segni esteriori (semiologia) la trasformazione del popolo in massa piccolo-borghese, nell’ansia di obbedire ad un “ordine non pronunciato” ma vissuto esistenzialmente,  quello di consumare, quello dell’edonismo di massa.

Nulla è insignificante alla potenza industriale! La debolezza dell’agnello viene calcolata ormai senza più fatica nei suoi pretesti da un cervello che distrugge ciò che deve distruggere.

Il suo “piangere” un mondo che vedeva e sentiva scomparire, lo portava a cercare altrove quello che aveva trovato nelle borgate romane degli anni Cinquanta, cercando la genuinità del popolo nel Terzo Mondo.

L’Italia è un corpo stupendo, ma dovunque lo tocchi o lo guardi, vedi, attorcigliate, le spire viscide e nere di un serpente, l’altra Italia. Come si può far l’amore con un corpo tutto avvolto da un serpente? Così comincia la castità.

Pasolini, regista di memorabili film, arrivato alla settima arte tramite la sua “fulgorazione pittorica”, allievo del critico d’arte Roberto Longhi, i suoi primi film sono di grande denuncia sociale, in alcuni si sente ancora il neorealismo, la sua costante adesione e difesa della “resistenza”, ma con lo stile magmatico, dove gli influssi pittorici (Masaccio, Mantegna, Piero della Francesca) sono decisivi e dove l’elemento religioso epico si unisce grazie anche alla scelta di musiche sacre (Bach) che fanno da cornice alle lotte per la strade in alcune scene (Accattone).

Al centro della sua arte ci sono gli ultimi. Per la sua competenza dell’umiltà, come avrebbe dichiarato il critico letterario Gianfranco Contini, c’è il volto sfigurato di Cristo (patiens). Pensiamo ad Accattone, film d’esordio dove ci sono tutti i tratti della sua evoluzione artistica posteriore; i primi piani frontali, la scelta degli attori non professionisti, le colonne sonore fra il sacro e il profano, la salvezza di un’anima, come dirà il regista. Poi Mamma Roma, la Ricotta, episodio all’interno di un film girato con altri registi, Il Vangelo secondo MatteoUccellacci e Uccellini. L’incontro con il Vangelo inizia da lontano, dalle prime poesie a Casarsa, dove in un verso (La domenica Uliva) dice: «Cristo mi chiama ma senza luce». Del resto nella sua splendida e commovente lettera che scriverà a Don Giovanni Rossi, della Pro Civitate Christiana di Assisi, nel 1964, dice che si sente «da sempre caduto da cavallo» ma che un piede è rimasto nella staffa.

Io difendo il sacro perché è la parte dell’uomo che offre meno resistenza alla profanazione del potere, ed è la più minacciata  dalle istituzioni delle Chiese.

Pier Paolo Pasolini aveva già previsto con largo anticipo l’involuzione della società italiana, «l’orrendo universo» dove la tragedia è «che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra».

L’ultima intervista, a poche ore dalla sua tragica scomparsa, venne profeticamente intitolata Siamo tutti in pericolo e queste parole alla luce del tempo che stiamo vivendo sono molto attuali. Sul “Corriere della Sera”, il  14 novembre del 1974, venne pubblicato un articolo di Pasolini, che aveva iniziato una collaborazione giornalistica chiamato dal direttore Piero Ottone, che reca il seguente titolo: Che cos’è questo golpe?

L’articolo iniziava con: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe…». Un manifesto di giornalismo e coraggio della verità, una denuncia civile e autorevole simile al J’accuse dello scrittore francese Émile Zola nell’“affare Dreyfus”. Ad ogni anniversario puntualmente esce una bibliografia immensa su Pasolini. A mio avviso, da semplice appassionato, vorrei consigliare di leggere direttamente i suoi scritti, le sue poesie, vedere i suoi film senza tutti quei libri che ogni anno continuano ad uscire poiché il rischio è quello di sentirne parlare ma di non andare alla fonte, oltre al consumo che va nella direzione da lui combattuta.

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