Giovanni Cappucci (1999) si è diplomato nel 2017 al Liceo Classico ed ha poi intrapreso gli studi di Ingegneria Informatica e Automatica presso l'università di Roma la Sapienza. Senza aver abbandonato i suoi interessi più "umanistici", è un grande amante dell'arte e della filosofia, che declina attraverso la lente del cinema, del fumetto e del videogioco, senza però disdegnare le arti propriamente più "classiche".

L’alchimista d’acciaio alla ricerca della Verità

In un panorama come quello della narrativa a fumetti per ragazzi è normale che le storie vogliano sì trasmettere valori positivi e insegnare qualcosa a coloro che ne fruiscono ma, in virtù di un’industria che ovviamente necessita di alti profitti per sostenersi, è difficile riuscire a conciliare profondità e leggerezza in un mix capace di appassionare comunque i giovani lettori e mantenere alte le vendite. Però esistono le eccezioni e tra queste vi è senza ombra di dubbio il manga, ormai cult, Fullmetal Alchemist (鋼の錬金術師 Hagane no renkinjutsushi), scritto e disegnato da Hiromu Arakawa.

Quello che all’apparenza sembrerebbe essere un normalissimo shōnen (categoria di manga indirizzati principalmente a un pubblico maschile, a partire dall’età scolare fino alla maggiore età), come ne vengono pubblicati settimanalmente a decine sulle pagine delle varie riviste di settore nipponiche, riesce nel corso dei capitoli a tratteggiare un mondo dalle tinte steampunk, che per certi versi ricorda l’Europa continentale degli anni Trenta. Si tratta di una storia che rapisce il lettore con una iniziale spensieratezza ricca di gag tipiche del genere, ma che dopo poche decine di tavole comincia a rivelare una natura inaspettata. Senza rinunciare agli stilemi classici del genere, delle dense ombre si stagliano sui protagonisti portandoli a scoprire gli oscuri e pericolosi segreti riguardanti la storia della loro nazione, in un vortice di esoterismo e politica. Ciò che ne risulta una volta giunti alla fine, però, non è una storia centrata su intrighi di potere e scelte politiche, bensì un cammino di formazione per i due giovani fratelli Edward ed Alphonse Elric che li porterà a comprendere delle verità superiori, intrinseche all’uomo e alla sua esistenza, tramite lo studio dell’alchimia, l’energia “magica” che pervade questo mondo.

Tra le ispirazioni centrali dell’opera vi è senza ombra di dubbio Frankenstein di Mary Shelley. Non a caso i due ragazzi iniziano il loro viaggio per fare ammenda dei peccati da loro commessi, cercando di riportare in vita la loro defunta madre tramite l’alchimia. Questo atto “contro natura” ha delle serie conseguenze per i due, i quali ne escono gravemente mutilati nel corpo, uno privato dell’intero corpo e l’altro di un braccio ed una gamba, facendoli scontrare contro una dura realtà: l’alchimia, in quanto scienza e quindi prodotto della conoscenza umana, non è in grado di sovvertire le leggi della natura e, nell’equazione della vita, manca qualcosa affinché possa definirsi completa. Ma, apparentemente, un artefatto è in grado di ridonare loro quanto perso: la pietra filosofale.

Attraverso le atrocità della guerra intrapresa contro il popolo di Ishbar, il lettore, come gli uomini e le donne che ne prendono parte, si scontra con un’aspra riflessione sulla guerra in generale ma, nello specifico, su quella in Medio Oriente che proprio negli anni della pubblicazione imperversava come non mai. La gravità di tali scontri e il prezzo in termini di vite umane che il conflitto richiede portano ad interrogarsi sul valore di queste ultime e sulla reale efficacia dell’uso della violenza per risolvere la questione. Il contesto sociopolitico è fondante della caratterizzazione di svariati personaggi sulle cui spalle gravano le conseguenze di tale belligeranza. Una guerra che lascia nelle coscienze e, per alcuni, anche nel corpo, cicatrici indelebili, che torneranno a più riprese ad aprirsi nelle menti dei soldati reduci, non sempre disposti ad accettare o superare quanto successo. La filosofia dello scambio equivalente è applicabile a qualsiasi evento della storia, nessuno escluso, dimostrando come non vi è modo di sottrarsi a questa “legge divina”, così sacra e inviolabile, neppure in guerra. Forse sarà proprio guardando la morte negli occhi che si potrà imparare a dare valore alla vita, affermando attraverso la sua negazione la sua importanza.

Abbiamo solo accennato fino ad ora al ruolo che l’alchimia ricopre all’interno della narrazione. Non si tratta infatti di un mero elemento di contorno che dona alla storia quell’elemento magico tanto caro a questo genere, ma costituisce una vera e propria filosofia, profondamente permeata nelle menti dei personaggi e centrale nella costruzione del loro pensiero. Il connubio tra alchimia, tipicamente occidentale, e magia alchemica, prettamente orientale, fa sì che questa arte non si limiti a ricercare le regole per tramutare la materia, ma vada a interrogarsi proprio su quel miglioramento spirituale che dovrebbe elevare l’uomo, avvicinarlo verosimilmente ad una conoscenza più platonica del mondo, in un meccanismo socratico di perenne scoperta e ridiscussione delle proprie credenze. Non a caso, proprio nel finale, Edward comprende che solo abbandonando quelle vecchie convinzioni che lo avevano accompagnato e, in un certo senso, limitato fino a quel momento, avrebbe potuto crescere e trovare ciò che stava cercando. Sia ben chiaro: non si sta certo affermando che il passato sia irrilevante, quanto piuttosto che solamente mettendosi in discussione, sapendo tramutare le proprie idee in una loro versione migliore, sia davvero possibile perfezionarsi come individui.

Ogni grande storia ha però bisogno di un grande antagonista che si confronti con i protagonisti, in grado di mettere in discussione la loro morale e far vacillare la loro volontà. Con un forte richiamo hegeliano alla contrapposizione tra tesi e antitesi, che solo attraverso il loro incontro-scontro permette di generare una sintesi, l’essere che si ergerà come ostacolo finale sulla strada degli eroi non sarà altro che un’ombra nera, chiamata homunculus, che, come la tradizione alchemica vuole, non è altro che un essere artificiale generato dalla conoscenza alchemica di un antico saggio, vissuto in un’epoca precedente in cui dottrine orientali ed occidentali erano intrecciate; non a caso questo passato è ritratto come una rigogliosa Persia, luogo dove è storicamente nata l’alchimia. Se abbiamo fino ad ora affermato che questa arte non è in grado di sovvertire la natura e generare la vita, come è possibile che esista un essere simile? La risposta è in realtà insita nella sua natura: è una creazione imperfetta di un essere imperfetto. Il nano nell’ampolla, come viene più volte appellato, eredita dal suo creatore tutti i suoi difetti e, cercando di liberarsene materializzando i suoi vizi come entità esterne a sé, non fa altro che privarsi dell’umanità che gli era stata donata. Il suo obiettivo non è altro che l’affermazione di sé attraverso la negazione della sua umanità, in un tentativo di sovvertire l’ordine naturale divenendo egli stesso la Verità assoluta, o Dio. Ciò che cerca di fare è proprio raggiungere una sorta di “verità ultima” che gli conferisca sostanzialmente il potere e la conoscenza di poter modificare egli stesso le regole che reggono il Mondo, inteso come l’unità che rappresenta l’Essere. Pagherà cara l’alterigia che gli aveva fatto credere di poter uccidere Dio e in certo senso sostituirlo, permettendo ai fratelli Elric di comprendere che ciò che stavano cercando era sempre stato di fronte ai loro occhi e che, proprio per questo, non era mai stato messo in discussione. Le verità assolute non sono dunque raggiungibili dall’uomo, il quale può solo intraprendere la strada della conoscenza, consapevole, come Socrate, di non sapere e che ogni passo fatto verso di essa non lo avvicinerà ad un traguardo, ma gli permetterà di crescere e migliorarsi indirizzandosi verso un infinito che non potrà mai toccare, ma solo contemplare, parzialmente, da lontano.

Giunti alla fine di questa disamina, è bene precisare che questa non vuole essere una recensione di Fullmetal Alchemist, bensì un invito alla lettura, a scoprirne i personaggi, i luoghi e le storie delle persone che vivono questo mondo fittizio senza il pregiudizio di trovarsi di fronte ad un prodotto per ragazzi, che ne possa svilire la profondità e la ricchezza di contenuti e tematiche non inferiori a quelle di un romanzo o di un’opera teatrale, o cinematografica. Solo in questo modo, dando spazio alla curiosità e al piacere della scoperta, si potranno scoprire perle su una spiaggia di sabbia. Non resta altro che dire, buona lettura.

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