La Redazione di IPS

Katharine Birbalsingh è una docente. Una docente nel senso che insegna a dei discenti, che si presume debbano apprendere un insegnamento. L’impegno precipuo di una docente di tale specie è trasmettere conoscenza. Intrinsecamente connesso a tale impegno è l’adottare un metodo che sia quanto più efficace per trasmettere conoscenza. La prof.ssa Birbalsingh ha adottato un certo metodo, e lo ha applicato nell’istituto del quale è direttrice, il Michaela Community School, fondato nel 2014 a Wembley Park, Londra, ottenendo risultati talmente eccellenti, da scalare rapidamente la classifica dei migliori istituti del Regno Unito – laddove per «migliore» s’intende ovviamente secondo criteri oggettivanti, analoghi a quelli adottati in Italia.

Una buona notizia per la prof.ssa Birbalsingh, che però diventa una notizia interessante anche per tutti coloro che, come quanti leggono la rubrica Pensare la scuola, seguono le vicende che riguardano il mondo della scuola. Pare infatti che quello che già è diventato famoso come «The Michaela Way»[1] non sia proprio il metodo più gettonato, né tra i pedagogisti d’oltremanica, né tra quelli nostrani. Infatti, se provassimo a sintetizzarlo nella sua quintessenza, ne ricaveremmo che essa consiste in: disciplina.

 Che la disciplina possa essere la quintessenza di una metodologia didattica, non dovrebbe di per sé fare scalpore: etimologicamente, infatti, «disciplina» significa proprio “insegnamento”, tanto “dato” quanto “ricevuto” – suggerendo così che l’insegnamento sussista proprio nel nesso inestricabile, nel rapporto necessariamente reciproco, tra docente e discente. Il concetto è andato poi arricchendosi di sfumature: l’idea di austerità, di severità, di organizzazione efficiente hanno tradotto quella che evidentemente era l’effettiva prassi adottata nell’insegnamento “tradizionale”. L’insegnante era, anzi meglio: doveva essere, austero, severo, in grado di organizzare efficientemente l’insegnamento – ma sempre per un solo scopo: trasmettere conoscenza.

Poi è venuto il tempo in cui la disciplina è stata perseguitata ed arsa sul rogo come una strega che incantasse maliziosamente le menti dei giovani. Se le prime rilevanti avvisaglie del mutato atteggiamento verso l’insegnamento “tradizionale” sono comparse in Italia intorno agli anni ’60 del Novecento, la persecuzione vera e propria è incominciata non più tardi degli ultimi vent’anni. Questa improvvisa accelerazione ha molteplici e diverse cause, d’ordine culturale, sociale, economico – ma per brevità, senza andare a scapito della precisione, ne potremmo individuare una che le incrocia tutte: il radicale pervertimento della concezione antropologica fondamentale, per cui l’uomo da soggetto di diritti responsabili, ergo anche di doveri, è stato trasformato in soggetto di diritti irresponsabili, cioè di licenza. In quanto soggetto i(“non”)-responsabile, l’uomo è oggi perlopiù considerato – perciò giustificato a ritenersi, e di conseguenza comportarsi – come individuo radicalmente ego-tista e ego-ista. Galleggiante nel suo egocentrismo, ha tagliato la cima con ciò che lo legava alla terraferma, ovverosia tutto ciò che può essere considerato in qualche modo “tradizionale” – compresa la disciplina.

Sembrerà superfluo, ma è comunque opportuno notare che questa nuova concezione antropologica fondamentale innerva anche il mondo dell’educazione, e quindi il sistema scolastico. Ma le ideologie, per quanto possano apparire persuasive e solide, sono sempre costitutivamente fragili: i fatti le infrangono facilmente. Ed è un fatto che il modello didattico adottato alla Michaela School si stia rivelando vincente. Un fatto reso ancor più significativo dal contesto in cui s’inserisce l’istituto fondato dalla prof.ssa Birbalsingh: un contesto educativo, quello britannico, che mostra un grave gap tra l’istruzione pubblica e quella privata, a tutto vantaggio di quest’ultima, e perciò di quanti possono permettersela; caratterizzato dalla multi-etnicità, e dai problemi educativi che questa comporta, ad incominciare dalle difficoltà linguistiche nella comunicazione; caratterizzato, infine, dalla collocazione in una regione ad alto coefficiente di “sviluppo”, che incalza con sfide d’ordine socio-economico ardue, ad incominciare dall’inserimento in un mondo del lavoro particolarmente complesso. Insomma: si tratta di un contesto educativo che per molti aspetti radicalizza problematiche presenti un po’ ovunque nella scuola occidentale della nostra epoca – perciò rendendo quella della Michaela School un’esperienza tanto più interessante.

 Per comprendere la creatura, illustriamo brevemente il suo creatore. La prof.ssa Birbalsingh è figlia di padre indiano e madre jamaicana, è nata in Nuova Zelanda, è cresciuta e si è formata principalmente in Canada, ed infine è diventata suddita di Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Parrebbe il profilo confezionato di una perfetta abitante del “villaggio globale”, del quale potrebbe adottare le mode. E, invece, la prof.ssa Birbalsingh dalla sua esperienza biografica ha ricavato soluzioni tutt’altro che prevedibili. La sua riflessione si appunta principalmente sul problema della multietnicità, e del correlato multiculturalismo, in rapporto alle possibilità di promozione sociale. In altre parole: perché i giovani neri e di altre minoranze etniche non riescono in genere a migliorare la propria condizione personale, restando perlopiù impantanati nelle situazioni, spesso disagiate, in cui nascono e che, di conseguenza, perpetuano?

La risposta che offre la prof.ssa Birbalsingh a questo inquietante interrogativo può essere rintracciata in un passaggio del discorso da lei tenuto durante una convention dei Tories nel 2010. La prof.ssa Birbalsingh usò l’espressione «culture of excuses», “cultura delle scuse”, per descrivere l’atteggiamento dominante adottato tanto dai docenti quanto dagli studenti nelle aule britanniche. In buona sostanza, la prof.ssa Birbalsingh sostenne che il sistema scolastico britannico fosse troppo lassista e ottusamente premuroso, talmente impegnato a responsabilizzarsi alla “sensibilità”, che alla fine scadeva, di fatto, nell’irresponsabilità. Il compito precipuo dell’insegnamento, quello di trasmettere conoscenza, passava assolutamente in secondo piano.

Mal gliene incolse! In seguito ad una serie di minacce e insulti personali, e di attacchi professionali – che giunsero alla richiesta di “adeguarsi” a certe condizioni per poter continuare ad insegnare serenamente, condizioni che lei rifiutò con grande coraggio e onestà intellettuale – la prof.ssa Birbalsingh decise di rassegnare le proprie dimissioni. Ma chiusa una porta, si apre un portone. E così, nel 2014 fondò l’istituto Michaela Community School, una charter school[2] per studenti dagli undici ai diciotto anni. Il motto del Michaela è tutto un programma: “Knowledge is Power”, “la conoscenza è potere”. Leggendo il prospetto sulla “vision” della scuola presente sul sito[3], si scopre l’aspetto più importante, cioè come intende conseguire questo potere. Prendiamo giusto un estratto:

The education provided at Michaela is broadly traditional and academically rigorous.  We expect our pupils to be polite and obedient. We encourage competition and allow our pupils to win and lose. We believe that knowledge about the world is central to our pupils’ success. Only when they have acquired this knowledge will they be ready to lead and participate as full citizens[4].

 Le idee sono piuttosto chiare e hanno contribuito al successo del Michaela – che in pratica significa il successo dei suoi studenti nella società. Un successo che ha giustificato il conferimento alla prof.ssa Katherine Birbalsingh del titolo di Commander of the Order of the British Empire nel 2020, ma anche la sua probabile prossima nomina da parte del governo Johnson a commissario alla mobilità sociale, un incarico governativo che ha il compito di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita per i più poveri.

Note:

[1] Battle Hymn of the Tiger Teachers: The Michaela Way, ed. by Katharine Birbalsingh, John Catt Educational, Melton 2016.

[2] Secondo l’ordinamento inglese, una “charter school” è una scuola che riceve finanziamenti pubblici, perciò è no-profit, così che resta aperta a tutti; ma, al contempo, opera in modo indipendente dal sistema scolastico propriamente pubblico, perciò può organizzarsi autonomamente

[3] https://mcsbrent.co.uk/vision/

[4] «L’educazione offerta al Michaela è in larga parte tradizionale ed accademicamente rigorosa. Ci aspettiamo che i nostri giovani siano educati ed obbedienti. Incoraggiamo la competizione, e permettiamo che si parli di vittoria e di fallimento. Pensiamo che la conoscenza del mondo sia fondamentale per il successo dei nostri giovani. Solo una volta acquisita questa conoscenza, saranno pronti per comportarsi come cittadini consapevoli e partecipi».

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