Carmelo Caruso (1979) si è laureato in Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” con una tesi dal titolo La Democrazia cristiana e gli Stati Uniti nella prima legislatura dell’Italia repubblicana. Nel 2016 ha conseguito un master in “management delle Amministrazioni pubbliche” presso l’Università della Calabria e oggi studia Giurisprudenza nello stesso ateneo; attualmente lavora come funzionario in un Ente Locale. Ha collaborato con riviste online pubblicando contributi e recensioni ad argomento storico-sociale, filosofico e giuridico. I temi fondamentali, affrontati da diverse angolature, ruotano soprattutto attorno alle questioni della storia contemporanea dell’Europa e del suo ruolo nel sistema internazionale, nonché della crisi politica e spirituale dell’Occidente.

Recensione a: C. Millon-Delsol, Il principio di sussidiarietà, trad. it. di M. Tringali, Giuffrè Editore, Milano 2003, pp. 108, € 9,00.

Il saggio di Chantal Millon Delsol sul principio di sussidiarietà, dopo trent’anni dalla prima edizione, offre spunti di riflessione che non dovrebbero affatto passare inosservati; ovviamente, non solo per l’attualità circa il tema del decentramento amministrativo, riemerso di recente nel dibattito sull’attuazione dell’autonomia regionale differenziata. La sussidiarietà è molto più di un principio costituzionale per la ripartizione ottimale delle competenze normative e amministrative: la sua applicazione negli ordinamenti giuridici ha alle spalle la stratificazione delle fondamentali culture della civiltà europea e mediterranea.

Il libro della Delsol fu dato alle stampe per la prima volta nel 1993: all’epoca cominciò ad emergere la questione del rapporto degli stati nazionali con la neoistituita Comunità Europea. Delle rivendicazioni locali si fecero portavoce i cosiddetti «partiti del territorio». In Italia si delinearono due tendenze contrapposte: da un lato, quello di chi riteneva che una maggiore autonomia degli Enti territoriali fosse sufficiente a porre fine a quasi tutti i mali dello Stato; sul versante opposto, non altrettanto ponderate interpretazioni catastrofiche circa le presunte conseguenze di una mai avvenuta dissoluzione dell’unità nazionale. In altri paesi europei, il dibattito pare non fosse qualitativamente differente: l’autrice in proposito richiama un’espressione del filosofo Arthur F. Utz, che definì l’uso propagandistico della sussidiarietà come una «formula incantatoria», ovvero uno slogan al servizio di una politica ideologica e priva di idee efficaci.

Tenendo conto di queste considerazioni, si potrebbe dire che l’attualità delle riflessioni della Delsol stia nell’aver “isolato” il tema dalle contingenze storiche ricollegandolo alle sue radici speculative. La ricostruzione concettuale del principio avviene mediante un excursus attraverso il pensiero politico dalla Grecia classica fino alla contemporaneità. Emergono le connessioni plurisecolari tra la democrazia della polis, la civiltà cristiana medioevale e le concezioni federaliste dell’età moderna e contemporanea. Dalla trattazione sembra evincersi che la complessa identità dell’Europa occidentale, esprima uno dei suoi caratteri fondamentali attraverso l’antropologia filosofica personalista e collaborativa connaturata all’idea di una società sussidiaria. Nella Grecia del V secolo, la sussidiarietà costituisce l’ideale misura dei rapporti umani tra coloro che sono considerati in grado di partecipare attivamente alla vita civile e chi non lo è: si tratta di quella sorta di «cura genitoriale» degli uomini liberi rispetto a donne e bambini, appartenenti alla sfera domestica (òikos). Sebbene questa concezione appaia oggi anacronistica, bisogna rilevare la presenza di un elemento fondamentale, costantemente presente in tutte le successive riflessioni sul principio: si tratta proprio di quella che è stata definita sopra come «cura genitoriale» nei rapporti tra sussidiante e sussidiato; ovvero, quell’esercizio solidale e responsabile del potere che dovrebbe mitigare le sproporzioni tra le diverse parti in cui si divide la società. Detto questo, non è difficile comprendere perché la teologia della Chiesa cattolica ne abbia fatto uno dei principali riferimenti in ambito sociale. Oltre alle ragioni derivanti da una affinità del Tomismo con la filosofia aristotelica, la persistente diffidenza del cattolicesimo tanto verso le concezioni stato-centriche quanto verso l’individualismo radicale, manifestano la vocazione a contenere le spinte disgregatrici a tutela della pace sociale. Ad esempio, l’autrice fa riferimento ad alcuni pensatori cattolici del XIX secolo le cui idee appaiono prospettare una visione «neo-medioevale» della società, alternativa a ogni forma di centralismo e tesa a rivalutare le formazioni sociali intermedie tra il cittadino e lo Stato. D’altronde, un’enciclica come la Rerum novarum di Leone XIII fu promulgata in periodi di crisi, quando si presentò la necessità di comporre le fratture tra l’emergente movimento operaio e la borghesia industriale: la Chiesa intese inserirsi nel conflitto come mediatrice, anche nel tentativo di arginare il dilagante socialismo e temperare il liberalismo economico del padronato, che avevano entrambi delle premesse filosofiche incompatibili con il cattolicesimo.

Secondo la Delsol, sottovalutare le radici speculative della questione ridurrebbe l’effettiva portata che tale principio avrebbe nella definizione di ciò che possa dirsi costitutivo della complessa identità culturale euro-mediterranea: la sussidiarietà collegherebbe la democrazia ateniese alle concezioni federaliste sorte dal XVII secolo in poi, passando per l’intermediazione della teologia cattolica. Bisogna comunque sottolineare quale sia la concezione antropologica posta alla base del principio stesso. In una società sussidiaria il singolo non esiste in funzione degli apparati del potere statale, il cui esercizio giusto è ricondotto alla sua funzione di servizio rispetto ai consociati. Ma mentre si nega qualsiasi subordinazione strumentale dell’individuo allo Stato, se ne ribadisce il compito sussidiario nei rapporti tra la società e le sue parti. Il singolo non viene più visto come tale, ma nell’accezione di persona: si tratta della concezione che pervade la Costituzione repubblicana sin dai primi articoli, rispetto ai quali la riforma del Titolo V approvata nel 2001 sull’ordinamento delle autonomie territoriali e locali dovrebbe rappresentare la naturale evoluzione di quelle premesse, anche a prescindere da qualsiasi considerazione sulla sua efficacia, o sugli effetti che avrà l’attuale legge di attuazione del principio di autonomia differenziata.

Partendo da queste affermazioni si potrebbe dire che l’idea sussidiaria implichi significative suggestioni, anche per quanto attiene ai rapporti di forza nel sistema politico ed economico internazionale. L’erosione di fatto della sovranità degli stati nazionali è un dato evidente, rispetto al quale è ormai difficile ritornare allo status quo ante: tuttavia, gran parte dei processi – che forse sarebbe più corretto definire come «mondializzazione» – derivano da oggettive dinamiche di trasformazione, ma esiste anche una narrazione corrente tendente ad appiattirsi su una lettura unilaterale del nostro tempo, per cui il mondo starebbe andando verso un’ineluttabile occidentalizzazione. Questo «messianismo» si presta molto bene a supportare alcune dinamiche di concentrazione del potere, anche economico, in palese contrasto con i più genuini principi del liberalismo classico: basti pensare alle legislazioni in materia di contrasto ai monopoli, presenti già dal XIX secolo. L’interpretazione della Delsol, dimostrando quanto l’idea sussidiaria si opponga sia al puro individualismo che alla massificazione, può pertanto fornire degli spunti validi per il presente anche in relazione alla globalizzazione, sulla base di un’etica personalista che ne costituisce il fondamento stesso.

Loading