Enrico Palma (1995) è dottore di ricerca in Scienze dell'interpretazione presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università di Catania. Nel 2022 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento per la classe di concorso A019 (Filosofia e Storia). Le sue aree di ricerca sono la filosofia teoretica, l’ermeneutica letteraria e i paganesimi antichi. Ha pubblicato saggi e articoli per riviste di filosofia, letteratura e fotografia. Con la cura del volume Psyché. L’anima ha contribuito alla collana del «Corriere della Sera» dedicate a Greco. Lingua, storia e cultura di una grande civiltà  (a cura di M. Centanni e P.B. Cipolla, 2022/2023). È redattore della rivista culturale online «Il Pequod».

Prometeo incatenato di Eschilo

Regia: Leo Muscato

Traduzione: Roberto Vecchioni

Scene: Federica Parolini

Drammaturgo: Francesco Morosi

Costumi: Silvia Aymonimo

Luci: Alessandro Verazzi

Direzione del coro: Francesca Della Monica

Con Silvia Valenti (Bia), Davide Paganini (Kratos), Michele Cipriani (Efesto), Alessandro Albertin (Prometeo), Alfonso Veneroso (Oceano), Deniz Ozdogan (Io), Pasquale di Filippo (Ermes)

Teatro Greco di Siracusa

29 maggio 2023                                                                                                           

Un’industria pesante. Questa è la scena metallurgica in cui si svolge la vicenda, con l’ingresso del prigioniero scortato da Bia, Kratos ed Efesto, quest’ultimo incaricato di legare il titano ribelle alla rupe, nella più profonda Scizia. La sua colpa? Aver disobbedito al nuovo reggitore delle sorti del mondo, Zeus, figlio di Crono, re dell’Olimpo, il tiranno invisibile la cui influenza si staglia su tutti gli eventi; aver dato in dono agli uomini, le creature effimere dalla breve luce, il fuoco rubato a Efesto, la tecnica con cui rendere più lievi le sofferenze della vita, e la cecità del futuro, soprattutto del momento della propria morte, nella convinzione che la conoscenza di ciò avrebbe arrecato più danno che giovamento alla stirpe mortale. Prometeo è colui che può vedere, è il preveggente, colui che pur sapendo il destino in cui sarebbe incorso lo accetta per opporsi all’iniquità tirannica del nuovo padre degli dèi. Un dio che punisce un altro dio, un crimine dinanzi al quale Efesto tentenna, lo stesso Efesto a cui Prometeo aveva sottratto il suo elemento. Ma il potere di Zeus è tale che tutti gli sono sottomessi.

Sono numerose le sollecitazioni a cui induce la tragedia eschilea, certamente tra le più potenti e fondative della civiltà greca e di tutto l’Occidente. Ma una in particolare suscita interesse. Gli dèi sono i nomi con cui gli umani chiamano le forze sacre che innervano il mondo, una celebre ipotesi, che forse è molto più di questo, a suo tempo avanzata da Walter Otto. Gli dèi sono le personificazioni del modo in cui gli umani intendono i principi primi della realtà: ne rappresentano la metafisica. In questo senso, è molto più filosofica la mitologia, con i suoi racconti e le rappresentazioni plastiche di queste forze che combattono tra di loro, rispetto alla metafisica razionale, illuministica e dimostrativa.

Tutti gli dèi, nelle varie narrazioni giunte fino a noi, intrattengono rapporti con gli umani, incontrandoli per odio, vendetta, invidia, gelosia, amore. Zeus stesso, amatore insaziabile e multiforme, ne è il principale rappresentante. Sono gli incontri di cui Pavese, nei Dialoghi con Leucò, dice che per gli umani costituiscono sempre qualcosa di fatale. La mitologia, potremmo dire, è la scienza di questi incontri, dei contatti tra la sfera del divino e quella dell’umano, l’intersecarsi delle forze della natura e delle passioni con la caducità dei viventi condannati alla fine. Se quindi è vero che gli dèi incarnano tali forze, perché Prometeo si sarebbe lasciato condannare per favorire i mortali? Perché un dio dovrebbe andare contro la propria natura e curarsi di esseri trascurabili e contingenti, e tutto questo per dar loro una difesa contro il dolore che è la vita?

Naturalmente, c’è molto di più del semplice risvolto di una lotta tra dèi, nella quale gli umani figurano come soggetti terzi, beneficiati per colpire il nemico in effigie. Il Prometeo incatenato, se vogliamo, può rappresentare la tragedia tra le più positive per gli umani; il titano protagonista può assurgere a grande speranza per i mortali condannati a soffrire le pene indicibili della vita al punto, come farà Io tormentata da Zeus, da invocare una morte prematura. Prometeo ha accorciato la vista degli umani nel futuro e ha dato loro in dono le dolci speranze: in uno dei suoi monologhi il dio si mostra estremo benefattore dell’umanità, con quella tecnica che rende più mite e sopportabile il furore doloroso che è l’esistenza.

Il Prometeo di Eschilo suscita quindi fiducia. Tra le forze in balìa delle quali l’umano si trova sbalestrato, ne esiste una altrettanto potente che diversamente dalle altre gli va in soccorso. La regola aurea del cosmo greco, quella della misura e dell’accettazione della necessità che con grande chiarezza e verità emerge dalla tragedia, rivela una ragione divina per confidare. Tra gli dèi, tra i nomi delle potenze del tutto, della natura, dell’universo, ne resiste uno che per gli umani rappresenta un elemento positivo. Compare dal sacro una potenza in grado di opporsi alle altre tremende e inenarrabili che funestano la vita, rendendola più tenue, serena. Prometeo aveva infranto l’equilibrio tra i divini e per questo viene punito da Zeus. Ma come ogni potere, anche il suo regno ha al suo interno il germe che lo condurrà alla caduta.

Anche Prometeo, infine, si affida a una speranza, la stessa che consegna a Io, e cioè che sarà dalla sua discendenza che nascerà il vincitore del signore dell’Olimpo. Nell’ordine perfetto delle forze che governano il mondo, la mitologia greca e la tragedia eschilea mostrano con Prometeo l’esistenza di una di esse, che, anche se debole e spesso vittima di se stessa (pensando alla tecnica satura di conseguenze, dai pericoli della genetica alla fisica atomica), favorisce la vita. E su questa fiducia la vita si aggrappa e si sostiene.

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