Amedeo Gasparini, classe 1997, MA in Relazioni Internazionali, BSc in Comunicazione, giornalista freelance, gestisce “Blackstar”, www.amedeogasparini.com

Recensione a
F. Fukuyama, Il liberalismo e i suoi oppositori, trad. it. di B. Amato e M. Peroggi, UTET, Milano 2022, pp. 186, € 19,00.

Per quanto così asserisca sin dalla prima frase, Il liberalismo e i suoi oppositori di Francis Fukuyama non è una difesa del liberalismo classico, ma piuttosto un’esplorazione del liberalismo alla luce delle pesanti minacce nel mondo occidentale. Emerso nella seconda metà del XVII secolo, il liberalismo sosteneva la necessità di limitare i poteri dei governi attraverso le leggi e le costituzioni, creando istituzioni a protezione dei diritti degli individui. Non si tratta del liberalismo odierno americano (centrosinistra) o europeo (centrodestra).

Il liberalismo è regredito negli anni, secondo le analisi effettuate dalla Freedom House. Le democrazie liberali hanno subìto degli attacchi dall’interno – come in Polonia e in Ungheria – nei confronti del sistema giudiziario, dei media indipendenti e delle burocrazie statali. Sono molte le critiche che si possono legittimamente muovere alle società liberali, come spiega Fukuyama:

[esse] non forniscono un forte senso di comunità o un obiettivo condiviso; sono troppo permissive e non rispettano valori religiosi già radicati nella società; sono troppo diversificate […]; sono troppo lente nel perseguire un’autentica giustizia sociale; tollerarono troppa diseguaglianza; sono dominate da élite di manipolatori e non rispondono ai desideri delle persone comuni. Ma […] esiste un principio o una forma di governo migliore che possa sostituire il liberalismo?

Questa domanda ricorre lungo tutto il libro. Il liberalismo non è stato di certo messo in discussione solo dai partiti di destra, e una delle critiche principali è che il liberalismo non sia stato all’altezza dei propri ideali. Sia a destra che a sinistra sono scontenti del liberalismo odierno – specialmente per via della sua evoluzione in neoliberismo negli anni Settanta. L’associazione di quest’ultimo alle diseguaglianze economiche ha contribuito a metterlo sotto accusa. Secondo Fukuyama, «il liberalismo ha costituito la base ideologica per un’economia di mercato. La divisione dell’autonomia personale si è espansa» e questo ha condotto a nuove visioni di “vita buona”, il che ha infastidito il conservatore, che vi ha visto una minaccia. Il rimedio per l’insoddisfazione generalizzata del liberalismo ha avuto diverse risposte. A destra, negli Stati Uniti, si sono verificati tentativi di manipolare il sistema elettorale con l’uso della violenza. A sinistra, ci si è dati alla ridistribuzione di ricchezza e potere, tramite i riconoscimenti dei gruppi anziché degli individui.

Le minacce al liberalismo non sono simmetriche, come spiega Fukuyama: «quella proveniente da destra è più immediata e politica; quella della sinistra è […] culturale e quindi dispone di un funzionamento più lento. Entrambe sono però mosse da uno sconcerto nei confronti del liberalismo». Il liberalismo è comunque resiliente: nei secoli è sopravvissuto a sistemi autoritari, da destra a sinistra. Oggi «è diventato il principio organizzativo di gran parte della politica mondiale», tanto che la sua stabilità dimostra che dispone di fondamenti pratici, morali ed economici che fanno presa su molti. Non è una dottrina obsoleta. John Gray ha definito il liberalismo classico come una struttura moderna, ma anche 1) individualista (asserisce il primato morale delle persone rispetto alle pretese collettivistiche); 2) egualitaria (attribuisce a tutti gli uomini il medesimo status morale); 3) universalista (afferma l’unità morale della specie umana); 4) “migliorista” (considera le istituzioni sociali e politiche passibili di miglioramenti e correzioni).

Fukuyama conferisce inoltre molta importanza al concetto di autonomia, «ossia la libertà di parola, di associazione, di fede e infine di vita politica», con l’aggiunta del diritto di detenere la proprietà e intraprendere transazioni economiche. Il liberalismo ha origini in Thomas Hobbes e John Locke; prosegue per la Rivoluzione francese con il riconoscimento dell’eguaglianza tra gli esseri umani e differisce dalle dottrine nazionaliste basate su una religione. Queste forme di collettivismo «limitavano esplicitamente i diritti attribuendoli a determinate razze, etnie, generi, confessioni, caste o gruppi del medesimo livello di prestigio». Il liberalismo pone dei limiti al potere esecutivo ed è associato alla crescita economica – che «separata da considerazioni di uguaglianza e giustizia può essere molto problematica».

Fukuyama spiega le tre giustificazioni del liberalismo. La prima è «pragmatica: il liberalismo è in modo di controllare la violenza e consentire a popolazioni diverse di convivere pacificamente. La seconda è morale: il liberalismo protegge la dignità umana e […] l’autonomia, ovvero la capacità di ciascun individuo di effettuare delle scelte. La giustificazione finale è economica: il liberalismo promuove la crescita economica […], proteggendo il diritto di proprietà e la libertà di effettuare transazioni». Secondo il liberalismo l’individuo è sovrano ed è ritenuto il miglior giudice per quanto concerne i propri interessi economici.

Il liberalismo difende il diritto alla vita, un tempo minacciata dal tiranno, come osserva Locke. Per Fukuyama il liberalismo è una «soluzione istituzionale al problema di governare sulla diversità». Il liberalismo si basa sulla tolleranza. Protegge la dignità umana e il mercato: è connesso alla libertà di commercio e a quella della difesa del diritto di proprietà. L’associazione liberalismo e libertà di commercio, formulata da Adam Smith e David Ricardo, si concretizzò nei Paesi Bassi e in Inghilterra. Poi nel regno di Prussia, dove a fine Settecento la legge proteggeva la proprietà privata ben prima che fosse introdotta la democrazia. Si noti che, «tra il 1800 e oggi, la produzione per persona nel mondo liberale crebbe di quali il 3000 per cento. Questi guadagni vennero avvertiti lungo tutta la scala sociale», commenta il politologo statunitense. Pertanto rafforzare il diritto di proprietà voleva dire rafforzare le classi medie – da qui la critica marxista.

Sempre secondo Fukuyama, dopo il 1789 il liberalismo ha sofferto l’emergere di dottrine che l’hanno contestata da destra e da sinistra e, soprattutto, la stessa Rivoluzione francese  «produsse il successivo maggior concorrente del liberalismo, ossia il nazionalismo». Il focus d’attenzione non erano dunque più l’individuo e la proprietà, bensì la lingua e l’etnia. Il 1945 pose le basi per la restaurazione del liberalismo. La comunità economica europea nacque come un progetto transnazionale cooperativo per subordinare gli Stati – da qui le istituzioni come Onu, Nato, Fmi, Gatt. Trattati bilaterali produssero un sistema globale di sicurezza anche in Giappone e Corea del Sud, stabilizzando Europa e Asia. Il secondo grande competitore del liberalismo fu ovviamente il comunismo.

L’Urss e i suoi alleati rappresentarono la minaccia più forte all’ordine liberale. Sotto Deng Xiaoping la Cina svoltò verso l’economia di mercato e dopo il crollo del Muro di Berlino e dell’Urss è sembrata realizzarsi una felice coesistenza tra liberalismo e democrazia. Infatti,

l’abbinamento del liberalismo con la democrazia ha ridotto le diseguaglianze create dalla concorrenza del mercato […]. Il progressivo impoverimento del proletariato previsto dal marxismo non c’è mai stato; anzi, gli appartenenti alla classe operaia hanno visto aumentare le loro paghe e sono passati da oppositori a sostenitori del sistema.

Questo ha comportato un allargamento della cerchia di persone che potevano godere dei diritti. E tale effetto emancipatore può essere declinato sia a destra che a sinistra. Nel primo caso significa autonomia nel gestire transazioni economiche senza l’intervento dello Stato. Nel secondo vuol dire autonomia rispetto alle scelte di vita.

Fukuyama analizza anche il passaggio da liberalismo a neoliberismo, oggi «sinonimo peggiorativo di capitalismo» e associato ad autori come Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek, Milton Friedman, Gary Becker, George Stigler, i quali hanno enfatizzato il ruolo dei mercati come efficienti allocatori di risorse. Le politiche neoliberiste sono state portate avanti a destra da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, a sinistra da Tony Blair e Bill Clinton. Tutti loro finirono per sommare deregolamentazione e privatizzazione e ciò ha contribuito nel tempo alla crescita del populismo. Negli Stati Uniti, «a livello popolare, il liberalismo si alleò con ciò che gli americani definiscono libertarismo, il cui credo è la sacra libertà dell’individuo in opposizione a uno stato che agisce in maniera eccessiva». Con il tempo l’agenda neoliberista è stata spinta a limiti controproducenti, tanto che «la solida intuizione della superiore efficienza dei mercati si tradusse in una sorta di religione, in cui l’intervento dello Stato era contestato per principio».

Lo si vide bene durante lo smantellamento dell’Unione Sovietica, quando si credeva che rimosso il sistema economico pianificato, i mercati privati avrebbero prosperato. Tuttavia, «i mercati di per sé funzionano soltanto quando sono rigidamente regolamentati dagli stati con ordinamenti giuridici funzionanti, capaci di contrapporre regole sulla trasparenza, sui contratti, sulla proprietà», altrimenti si ha la degenerazione oligarchica in stile Russia post-sovietica, appunto. Un’analisi di questo tipo si scontra con il credo neoliberista, che non si limita a criticare l’interventismo statale  ma contesta pure quelle politiche sociali che sarebbero altresì risultate utili e necessarie a ridurre le sperequazioni provocate dall’introduzione improvvisa di logiche concorrenziali di mercato. Uno degli aspetti apprezzabili del libro di Fukuyama è la sua capacità di essere sia critico che propositivo rispetto al liberalismo. Lancia intuizioni formidabili e controcorrenti. Il liberalismo è «compatibile con un’ampia gamma di protezioni sociali fornite dallo Stato».

Gli individui dovrebbero «assumersi la responsabilità personale per le loro vite e la loro felicità, ma sono molte le circostanze in cui affrontano minacce […] al di là del loro controllo». E ancora: «Buona parte dell’ostilità neoliberista nei confronti del governo è […] irrazionale. Gli Stati sono necessari per fornire beni pubblici che i mercati […] non offriranno, dalle previsioni metereologiche alla sanità pubblica, dai sistemi giudiziari ai controlli di sicurezza su alimenti e formati, fino […] alla difesa nazionale. La dimensione dello Stato è di gran lunga meno importante della sua qualità». Non è un caso che «molti paesi poveri sono intrappolati in un ciclo di cui la scarsa qualità dello stato non è in grado di fornire servizi […]. Gli Stati liberali richiedono invece dei governi forti, capaci di imporre regole e di fornire la cornice istituzionale […] all’interno della quale li individui possono prosperare».

Difatti, molti paesi «hanno assistito all’emergere di una piccola classe di oligarchi, multimiliardari che erano in grado di convertire le proprie risorse economiche in potere politico tramite lobbisti e acquisti di mezzi di informazione». Ciò ha spianato la strada per il populismo. Fukuyama esplora in maniera più filosofica il liberalismo e rileva come «l’individualismo liberale non preclude né nega la socievolezza umana, semplicemente intende dire che la gran parte dei coinvolgimenti sociali in una società liberale saranno […] volontari». Ad entrare nei ragionamenti di Fukuyama vi è anche l’io individuale:

L’autonomia individuale è stata portata al limite estremo dai liberali di destra, la cui preoccupazione principale era la libertà economica. […] mentre il neoliberismo minacciava la democrazia liberale creando eccessiva diseguaglianza e instabilità finanziaria, il liberalismo di sinistra si evolveva in moderne politiche identitarie, alcune versioni delle quali hanno iniziato a minare le premesse del liberalismo stesso.

La politica identitaria, tema-cardine del libro precedente dell’Autore, si focalizza su una caratteristica fissa, come il genere, la razza, l’etnia. «Queste caratteristiche sono viste non semplicemente come una delle tante appartenenti a un individuo, ma piuttosto come una componente essenziale dell’io interiore che esige riconoscimento sociale». La politica indennitaria ostacola la realizzazione del liberalismo nella società. Eppure, all’inizio «la politica dell’identità apparve sulle prime come uno sforzo per realizzare la promessa del liberalismo, che predicava una dottrina di uguaglianza universale e di pari protezione della dignità umana davanti alla legge. Le effettive società liberali, però, mancarono […] di mostrarsi all’altezza di questi ideali». Il dominio coloniale durò ben oltre la Seconda Guerra Mondiale. Le donne ottennero il voto solo nel XX secolo. L’omosessualità è stata criminalizzata per anni. Gli afroamericani sono sproporzionatamente vittime di incarcerazioni. Eppure, Fukuyama è ottimista: «La politica dell’identità cerca di completare il progetto liberale».

La politica dell’identità è stata strumentalizzata da alcuni gruppi che hanno attaccato duramente la meritocrazia e il liberalismo. Oggi «la meritocrazia è in qualche modo associata all’identità bianca e all’eurocentrismo», il che «riflette il provincialismo dell’odierna politica identitaria». La meritocrazia è però cosa che appartiene a tante culture. Contrariamente a quanto dicono i critici, «l’individualismo liberal ha dimostrato di possedere una forte attrattiva verso persone di svariate culture, una volta che queste abbiano sperimentato la libertà che apporta».

Per questo ed altro ancora il liberalismo ha bisogno di essere mitigato dalla democrazia. Il liberalismo da solo non è sufficiente, «ha bisogno di essere abbinato alla democrazia perché si possono apportate correzioni politiche alle diseguaglianze prodotte dall’economia di mercato». Oggi il liberalismo è in crisi, ma «con la sua premessa di uguaglianza universale degli esseri umani […] deve rimanere la cornice all’interno della quale i gruppi identitari lottano per i propri diritti». Ma soprattutto bisogna compiere importanti riflessioni sulla libertà di parola, che «implica la libertà di pensiero e costituisce la base di tutte le altre libertà che l’ordine liberale si propone di proteggere», contestata sia da destra sia da sinistra, così come dal cambiamento tecnologico. La libertà di parola però si basa sulla civiltà e sul rispetto della privacy altrui.

Siccome «il liberalismo abbassa intenzionalmente gli obiettivi della politica, punta non tanto a una vita buona così come definita da una specifica religione, da una dottrina morale o da una tradizione culturale, bensì a preservare la vita stessa in condizioni in cui la popolazione non concorda su quale e come sia questa vita buona», non è affatto un caso che il liberalismo sia nel mirino dei conservatori religiosi – che «vedono il liberalismo come foriero di un lassismo morale in cui i singoli individui adorano se stessi anziché un Dio» – e dei nazionalisti – secondo cui «il liberalismo ha distrutto i legami […] della comunità nazionale per sostituirli con un cosmopolitismo globale che tiene alle persone di paesi remoti quanto ai propri concittadini».

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