Anna Frosini (2006) frequenta il IV anno del Liceo Scientifico Scienze Applicate "E. Majorana" di Capannori.

Vi è un genere di solitudine che comincia

con l’essere non un isolamento, bensì un

essersi spogliati di qualsiasi proprietà.

Marìa Zambrano, Chiari del bosco

 

Il termine abitare deriva dal latino habère, il quale significato nel senso proprio è continuare ad avere. Nell’uso comune ha poi acquisito un ulteriore strato semantico, quello di aver consuetudine in un luogo. Ovvero abitarvi. Dunque, nella stratificazione storico-linguistica di tale parola, si sono consolidate almeno queste due definizioni: attuale la seconda, desueta e non più in circolo la prima. Il termine casa, invece, presenta un’etimologia più pragmatica. Sia in latino che in greco si riferisce ad un luogo concreto: una capanna, un luogo coperto. L’obiettivo di questo testo è far luce sulle dinamiche tra abitare e casa, con particolare attenzione al primo.

Quando una persona enuncia d’abitare in un luogo, esso è specifico. Questa precisione tende al generico se chi ascolta ha poca familiarità con la geografia del posto in questione. Così, se qualcuno, ad esempio, si trova davanti ad un interlocutore in un’altra parte del mondo rispetto alla zona a cui fa riferimento, dirà il continente in cui abita. Questo è il massimo che la geografia consente di esprimere, e che restringe il suo campo d’azione man mano che le nozioni in comune tra chi parla e il suo interlocutore aumentano: stato, regione, città, via o piazza e addirittura numero civico. Ed è qui che si palesa la figura di casa.

Abitare e casa, nel senso comune, vanno di pari passo. Abitare, infatti, è frequentemente interscambiato con risiedere. Emerge, dunque, una natura statica di tale concetto. E, tale staticità, viene spesso interscambiata per stabilità, da cui consegue l’idea di equilibrio.

Avere un punto fermo, almeno ad oggi, per tanti vuol dire molto. Inoltre, sempre facendo riferimento al senso comune, i concetti abitare e casa originano un sistema valoriale, per cui, solitamente, ciò che è fuori dalle mura domestiche è frenetico e difficoltoso, mentre dentro stanno il riposo, la lentezza, la tranquillità. Basta poco per rendersi conto della problematicità di tale irrigidimento di vedute, che risulta essere antitetico e contraddittorio.

Riprendendo la prima etimologia di abitare, che cos’è questa cosa che continuiamo ad avere? A mio avviso, è lampante che si tratti di una qualche forma di sistema di riferimento a cui attingere. Che può essere, appunto, la casa-punto fermo, come se fosse una componente identitaria. Tuttavia, è impossibile fare della casa un sistema chiuso, isolato dal reale, ed è conseguentemente inevitabile la contaminazione tra i due.

Analizzando uno dei due possibili casi, ovvero quello della vita domestica che si rende frenetica e problematica, è evidente come, se viene mantenuto il punto di vista fino ad ora espresso – per il quale solo in casa c’è quiete –, la situazione viene vissuta come un’invasione irrimediabile e destabilizzante. Ciò accade spesso e causa il crollo del sistema di riferimento precedentemente citato per molti; una crisi di identità, intesa quasi più dal punto di vista ontologico che altro. Quindi, questo è ciò che succede a far coincidere abitare e casa.

Far coincidere abitare con il reale, inclusa la casa, e quindi con il mondo tutto, invece è tutt’altra cosa.

Ricercare un sistema di riferimento nel particolare, come visto precedentemente, non regge. È necessario, al contrario, estendere tale insieme di certezze a qualcosa di ben più ampio, tanto quanto il mondo che spaziamo, che viviamo. Ecco, se vivere può essere anche azione inconsapevole, abitare è obbligatoriamente cosciente come azione.

Ricollegando l’abitare il mondo con la bivalenza valoriale della vita citata poco prima, è chiaro come il punto di vista cambi insieme al sistema di riferimento: non ci sono più contrasti di valore, solo differenze causali, dettate da infinite relazioni tra gli elementi della realtà.

Questa prospettiva, prettamente d’impronta spinoziana, non vuole andare ad affermare che abitare sia sinonimo di onniscienza. Tale concetto è,  piuttosto, collegato alla volontà di conoscere intrinseca dell’uomo – il cosiddetto conatus. E, come ha già detto Spinoza nell’Ethica ordine geometrico demonstrata, conoscere induce letizia. Ovvero gioia, felicità.

Concludendo, da questo decostruire la struttura storico-semantica di abitare, passando dal suo strato più superficiale e giungendo fino alle sue profondità, si ricava come è solo nell’immanenza che l’essere umano può dire di abitare, avendo come riferimento e certezza il mondo tutto.

Abitare è vivere conoscendo. È continuare ad avere sotto, sopra e davanti a sé il mondo nella sua interezza, avendone consuetudine.

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