Giuseppe Lubrino (1990) ha conseguito Laurea Magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico nel 2017 presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale all’Issr. “G. Duns Scoto” di Nola-Acerra. Ha discusso una dissertazione scritta dal titolo L’Educazione nel pensiero di Joseph Ratzinger. Una pedagogia del cuore. Attualmente insegna Religione Cattolica presso la Scuola Secondaria di secondo grado: “Iti.Marconi-Galilei” a Torre Annunziata (Na). Appassionato di Teologia biblica, approfondisce i suoi studi sul pensiero e l’opera di J. Ratzinger e sulla paideia cristiana.
Premessa
La Sapienza non è una categoria culturale esclusiva di Israele. È possibile, infatti, riscontrare numerose somiglianze di alcuni passi biblici del genere letterario sapienziale con numerosi testi appartenenti alle culture limitrofe a Israele. Tuttavia, allo stesso tempo si possono rilevare anche numerose discrepanze e divergenze tra i testi biblici e le opere dei popoli vicini come l’Egitto, la Mesopotamia, la Grecia. Tra le diverse teorie preposte quella più accreditata sembra essere la seguente: è possibile che i maestri in Israele siano effettivamente venuti a contatto con i testi sapienziali provenienti dai popoli vicini ma per redigere le loro opere, confluite poi nei libri biblici sapienziali, essi hanno operato un vero e proprio processo di inculturazione. Tale processo, ha consentito loro di estrapolare degli elementi ritenuti validi all’interno dei testi extrabiblici per perseguire i fini didattici delle loro opere e rielaborarli per la loro causa (S. Pinto, I segreti della Sapienza, Introduzione ai libri sapienziali e poetici, Edizioni San Paolo 2013, pp. 9-32). Stando a ciò è evidente che, la sapienza biblica presenta dei tratti in comune con il background sapienziale dei popoli del Vicino Oriente Antico ma possiede anche delle caratteristiche proprie ed inedite, proprio in virtù del suo rapporto speciale con Dio.
Nella Sacra Scrittura il corpus dei libri sapienziali si presenta come un pentateuco poiché è composto da cinque scritti: Proverbi, Giobbe, Qoèlet (Ecclesiaste), Siracide e Sapienza. Vi è poi una mini sezione dedicata al libro dei Salmi e al Cantico dei cantici che, solitamente, sono inquadrati nella sezione dei componimenti poetici. Questi scritti sono nati nell’epoca della monarchia in Israele (X-IX secolo a.C.) ma si sono ampiamente sviluppati nei secoli successivi e, in particolar modo, durante il periodo della ricostruzione del tempio, dopo che il popolo di Israele rientrò dall’esilio in Babilonia (587-538 a.C.) e, hanno conosciuto la loro forma finale solo durante l’epoca della dominazione ellenistica della Giudea (III-I secolo a.C.). In tale periodo si realizza un incontro decisivo tra il pensiero greco e la sapienza biblica. In tale contesto è possibile incastonare i libri sapienziali della Bibbia. L’intento dell’articolo presente è quello di suscitare nei lettori e nelle lettrici, di diversa caratura culturale, l’interesse per i temi biblici allo scopo di far cogliere loro l’immensa ricchezza e valenza educativa della Parola di Dio, così da poter trarne degli insegnamenti solidi da applicare nella vita quotidiana. Si predilige un approccio esistenziale alla Bibbia così da porre in evidenza la sua capacità di penetrare nei meandri più reconditi dell’esistenza umana. La Parola di Dio si configura come un criterio attraverso il quale si possono leggere e interpretare le più svariate esperienze in ambito relazionale. Il dolore, il fallimento, il peso della quotidianità, illuminati dalla luce della Parola, possono ricevere una chiave di lettura differente e possono spalancare orizzonti inesplorati a chi ogni giorno è immerso nell’ardua fatica di apprendere l’arte del vivere. Caratteristica peculiare dei libri sacri della sezione sapienziale è quella di fornire delle risposte, alla luce degli insegnamenti della Torah, ai grandi enigmi che da sempre albergano nel cuore di ogni essere umano: perché esiste il male? Perché esiste il dolore? Come porsi nei confronti del fallimento, della sofferenza? Quale lezione si può apprendere considerando l’esperienza dell’esilio e delle dominazioni dei popoli stranieri? Dio ha abbandonato il suo popolo? Il libro di Giobbe si pone come un valido paradigma in tal senso. A tal proposito, appare interessante segnalare l’opera del noto biblista e autore Luca Mazzinghi che nella sua opera L’indagine e l’ascolto. Metodo e sguardo dei saggi di Israele (Edizioni Dehoniane, Bologna 2015) propone un identikit della sapienza in Israele. Si legga quanto segue:
La saggezza consiste dunque nel saper discernere, caso per caso, qual è il comportamento più adatto in una determinata situazione. La saggezza è prima di tutto, per l’antico Israele, la scoperta della complessità e dell’ambiguità del reale.
A partire da tale prospettiva, si prenderà in considerazione l’ultimo testo della sezione sapienziale: il libro della Sapienza di Salomone.
Gianfranco Ravasi è un noto biblista e autore di numerose opere in campo biblico-teologico. Nel suo testo La Sapienza di Salomone (il Mulino, Bologna 2022) presenta una riflessione sul libro della Sapienza allo scopo di intercettare la varietà e la ricchezza letteraria della Bibbia. Egli sostiene che la Sacra Scrittura può essere annoverata tra le grandi opere classiche e pone in evidenza l’inestimabile valore culturale e educativo dei testi biblici sapienziali. Il libro della Sapienza fa parte del corpus degli scritti sapienziali e fa parte dei sette libri deutero canonici della Bibbia.
Ravasi avvia la sua trattazione a partire da una prospettiva fondamentale per una comprensione matura e consapevole della Sacra Scrittura: rifacendosi alla celebre denominazione di William Blake e richiamandosi agli studi successivi del critico letterario canadese Northrop Frye, definisce la Bibbia il “Grande Codice dell’Occidente”. Rileva, inoltre, che la Sacra Scrittura esercita verso il cuore dell’essere umano un fascino unico e ineguagliabile in confronto a tutta la letteratura sacra dell’umanità. Si legga quanto afferma in merito:
È, comunque, indiscutibile la tesi di Frye secondo cui la Bibbia è «l’universo entro cui la letteratura e l’arte occidentale hanno operato fino al XVIII secolo e stanno ancora in larga misura operando».
La Sacra Scrittura possiede intrinsecamente un potere attrattivo e sublime nei confronti della vita di ogni uomo-donna. Pertanto, ci si chiede che cosa è la sapienza?
A tale quesito Ravasi risponde facendo riferimento ad un altro celebre critico letterario Roland Barthes che, sviscerando l’etimologia del termine latino: sapientia annota che esso prima ancora che significare “sapere” suppone “il sapore”. La Sapienza è legata al buon gusto interiore. Si legga quanto segue:
La sapientia è nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di intelligenza e quanto più sapore possibile […]. Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare (p. 9).
L’ autore del libro della Sapienza di Salomone è ignoto e gli esegeti odierni concordano nel ritenere che si tratta di un caso di pseudepigrafia. Ciò è dovuto al fatto che la figura del re Salomone è emblematica per comprendere il genere letterario sapienziale. Salomone, infatti, è un archetipo della letteratura della sapienza biblica ed è da attribuire a tale fattore che negli scritti sapienziali riscontriamo diversi casi di pseudepigrafia legati al suo personaggio (Proverbi, Qoèlet, Sapienza e Cantico dei Cantici). Tale fenomeno è dovuto al fatto che, nell’antichità era consuetudine attribuire un’ opera ad un personaggio noto ai fini di renderla celebre e di dare continuità all’insegnamento del maestro a cui si faceva riferimento. Il libro della Sapienza è composto da ventinove capitoli ed è stato redatto verso il I secolo a.C. In tale periodo si affermava con vigore in Israele e, nella diaspora in Egitto, l’idea secondo cui Dio avrebbe inviato un suo consacrato (il Messia) che avrebbe ristabilito il diritto e la giustizia. Egli avrebbe restaurando così l’alleanza tra Dio e il suo popolo. L’opera della Sapienza si propone ai lettori e alle lettrici come un vero e proprio itinerario di formazione e educazione dello spirito. Leggere e meditare queste sacre pagine significa predisporsi ad acquisire una solida conoscenza sull’agire salvifico di Dio nella storia, sulle implicazioni della Torah nella vita dei credenti, sul mondo e sul senso ultimo della vita. Si legga la celebre definizione del noto biblista gesuita spagnolo Alonso Schökel:
La sapienza è l’arte di dirigere la propria vita con successo, è la conoscenza pratica delle leggi che governano il mondo; è l’esperienza trasmessa come un testamento spirituale da padre in figlio; è la parola e l’azione adatta in un dato momento; è un corpo letterario. Predomina nel testo della Sapienza il tema della teologia della retribuzione ed è possibile rinvenire la dottrina sull’immortalità dell’anima il quale risente degli influssi della filosofia platonica e greca in generale. Il nucleo centrale della narrazione è il seguente: gli empi apparentemente sembrano prosperare e farsi beffa dei giusti ostacolando il loro cammino di santità e giustizia, ma Dio li farà trionfare e splendere come la luce del sole (cfr. cc. 1-2).
Nei capitoli finali (11-19), inoltre, è presente un midrash sull’evento dell’Esodo ed è centrale nell’intera opera il concetto di Sapienza che assume quasi i tratti di una vera e propria personificazione che funge da mediatore tra Jahvè e la creazione. Tali acquisizioni si precisa che costituiscono l’apice culturale della Bibbia in quanto testimoniamo l’incontro tra Atene e Gerusalemme: tra la filosofia greca e la sapienza Biblica. Tale incontro ha svolto un ruolo centrale anche nel cristianesimo antico dando così avvio alla fioritura della paideia cristiana. Il libro della Sapienza si pone quale tesoro prezioso e di inestimabile valore per il nostro tempo particolarmente caratterizzato dalla crisi e dalla perdita dei valori. Si legga questo estratto:
Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza. La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto; non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l’argento. L’amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana. Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile (Sap 7,7-11).
Il rapporto viscerale dell’uomo biblico con Dio è al di sopra di ogni cosa. La preghiera ottiene la sapienza e conferisce al re la “giusta” visione della realtà. Cosicché, egli potrà governare il suo popolo con rettitudine ed essere un degno luogotenente della divinità sulla terra. L’uomo di Dio implora la sapienza e apprende le virtù della giustizia, della prudenza, della temperanza e della fortezza. In tal modo egli si rende irreprensibile nel compiere il bene e nel fuggire, invece, il male. Si legga il brano seguente:
Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita (Sap 8,7).
Apprendere le virtù attraverso una lettura approfondita della Bibbia può risultare un valido supporto per far fronte alle difficoltà che ci riserva la vita ogni giorno. Coltivare la propria fede significa alimentarsi ogni giorno alle sorgenti della Parola di Dio per ricevere acqua potabile per proseguire il cammino. Detto questo, occorre precisare che la Parola di Dio è nata, si è sviluppata e progredisce all’interno della comunità ecclesiale con quale vive un rapporto intimo e connaturale. Pertanto, per cogliere tutta la ricchezza della Bibbia è fondamentale non sganciarsi mai dal contesto ecclesiale entro il quale si vive.