Simone Valentini è laureato in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza presso l'Università degli Studi di Perugia. Ha quindi conseguito un Master in Criminologia e Sicurezza Internazionale presso Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza e attualmente frequenta il secondo anno del corso di laurea in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT).
Recensione a: C. Rosselli, Socialismo liberale, a cura e con un saggio introduttivo di D. Breschi, Historica, Roma 2024, pp. 272, € 17,00.
Pubblicato per la prima volta in Francia nel 1930, presso la Librarie Valois, Socialismo liberale di Carlo Rosselli è un’opera cardine del pensiero politico del Novecento. Scritto durante il suo esilio a Lipari tra il 1928 ed il 1929, dove «un vecchio pianoforte lo ospitò lungamente» (p. 39), l’opera di Rosselli si propone come risposta innovativa e radicale alla crisi del liberalismo e del socialismo nel periodo tra le due guerre, segnato dalla salita al potere dei totalitarismi, dalla disfatta delle sinistre europee e dal disorientamento ideologico delle democrazie parlamentari. La forza di Socialismo liberale risiede nell’impossibilità di collocarla all’interno di confini strutturali, ideologici e metodologici definiti, grazie alla sua portata trasversale in grado di renderlo insieme: manifesto politico, riflessione filosofica e strumento di lotta contro il fascismo.
Carlo Rosselli, figura di spicco dell’antifascismo italiano ha fondato a Parigi, insieme a Emilio Lussu e Gaetano Salvemini, Giustizia e Libertà, un movimento politico clandestino nato per opporsi al regime fascista, rappresentando una terza via tra comunismo e liberalismo tradizionale, ispirandosi ad un socialismo democratico e liberale in cui «l’amore per Marx non è più un amore cieco e va anzi trasformandosi in un lento ma inesorabile distacco» (p. 157). L’obiettivo che l’Autore si pone di raggiungere è ambizioso e si scontra con l’apparente impossibilità di conciliare due tradizioni politiche considerate inconciliabili, quella liberale e quella socialista. Il titolo ne rappresenta una sintesi programmatica, non un compromesso tra le due dottrine, bensì una rielaborazione profonda di entrambe.
Per Rosselli il liberalismo deve essere ripensato alla luce della questione sociale, aderendo alla causa dei lavoratori e facendo propria la lotta di classe, abbandonando ogni residuo di individualismo conservatore; il socialismo, invece, deve liberarsi dal determinismo economico e dogmatico dell’ortodossia marxista ponendo il principio di libertà e vita individuale sullo stesso piano della giustizia sociale e della vita associata.
Leggendo le pagine di Socialismo liberale si evince la lucidità e la coerenza con cui il suo autore sostiene e articola questa visione in una continua comparazione tra virtù e limiti delle due dottrine. Il liberalismo classico, parafrasando le parole di Rosselli, ha avuto il merito di fondare le libertà civili e politiche, ma senza raggiungere l’obiettivo di realizzare la giustizia sociale, la quale ha reso, come afferma Raymond Aron, l’uguaglianza formale una mera illusione. Il socialismo, dal canto suo, ha fondato la sua ragion d’essere sulla lotta alla disuguaglianza, trascurando però il principio di libertà, sia come fine che come mezzo, producendo così derive autoritarie e burocratiche di cui il bolscevismo russo è la massima espressione. Ecco allora che Rosselli supera l’apparente inconciliabilità tra socialismo e liberalismo, proponendo una sintesi secondo la quale senza la libertà non c’è giustizia sociale e, laddove non c’è equità e giustizia, la libertà rimane privilegio di pochi.
La libertà nell’opera di Rosselli assume un carattere trasversale, diventa il valore assoluto, il mezzo per migliorare sé stessi e la società. In questo senso Socialismo liberale assume una portata che va oltre la mera dottrina politica, diventa una filosofia morale che chiama l’individuo ad esercitare la propria responsabilità nel mondo. L’obiettivo della ricostruzione ideologico-politica del socialismo deve essere quello di porre al centro il principio di libertà, il che vuol dire, citando il testo, «ricondurre il moto socialista ai suoi principi primi, alle sue origini storiche» (p. 178), dimostrando come il socialismo non sia altro che lo sviluppo logico di quel principio di libertà, nient’altro che liberalismo in azione. In questo senso, afferma Rosselli, da un lato il liberalismo si fa metodo e forza ideale ispiratrice, dall’altro, il socialismo si fa liberale nella misura in cui ne adotta il metodo aprendosi al pluralismo, alla critica e all’evoluzione culturale uscendo dal dogmatismo, divenendo massima espressione della volontà cosciente e morale dell’individuo.
Volontà umana, coscienza morale, libertà e iniziativa individuale sono la rinnovata essenza del socialismo che si allontana dal determinismo economico e dal materialismo storico che ne hanno “ucciso l’anima”, riducendo la storia al semplice e meccanico gioco delle forze economiche. Qui si evince quel “superamento del marxismo” che, come specifica lo stesso Rosselli, non si intende «davvero dire con questo che nulla rimanga di vivo e vitale del suo pensiero» (p. 153), ma che i tempi soni profondamente cambiati e quanto sostenuto e affermato da Marx “è morto o non è mai esistito”. Ne consegue che Rosselli fornisce un’interpretazione del socialismo non come necessità storica, ma come scelta etica e razionale, rifiutando mezzi e presupposti dogmatici della “rivelazione” marxista ma riprendendone i nobili fini di giustizia, eguaglianza ed emancipazione.
Dal punto di vista storiografico, Socialismo liberale porta con sé un valore doppiamente fondante. Da un lato, rappresenta il tentativo di costruire un pensiero democratico alternativo sia al comunismo sovietico sia al liberalismo conservatore – in un contesto intellettuale in cui vi era una “sostanziale difficoltà a pensare come naturale e rapidamente praticabile un compromesso operativo virtuoso fra liberalismo e democrazia” –, anticipando molte delle riflessioni che animeranno il socialismo riformista europeo nel secondo dopoguerra. Dall’altro, costituisce un prezioso documento per comprendere, non solo quale fosse il panorama dell’antifascismo italiano di fine anni Venti, ma anche il punto di vista rosselliano in merito al successo del fascismo in Italia, definito, con evidente eco gobettiana, come «l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che rifugge dall’eresia, che sogna il trionfo della facilità, dell’entusiasmo» (p. 223). A tal proposito e con grande lucidità, Rosselli non si esime dal criticare aspramente la vecchia guardia socialista e la mancata capacità di comprendere «nulla del segreto travaglio dei giovani» (p. 114) che, da un lato, segnò definitivamente quel distacco che sarà fatale al socialismo italiano, dall’altro, permise a Mussolini di trascinarsi dietro gran parte della nuova generazione socialista permeata di idealismo e volontarismo che non capiva più il linguaggio materialistico e positivista della vecchia élite.
Nelle pagine conclusive di Socialismo liberale, Carlo Rosselli si rivolge ai socialisti italiani con estrema lucidità e franchezza, formulando una domanda (retorica) che assume il tono amaro di una sentenza definitiva:
Ora i socialisti italiani debbono decidersi. Vogliono rimanere in eterno i rappresentanti specifici di una frazione del proletariato italiano, attendendo buddisticamente che l’evoluzione economica trasformi l’Italia in una Germania o in una Inghilterra con l’80 per cento di salariati industriali? Oppure vogliono mettersi in grado sin da ora, con un programma adeguato e realistico, di cattivarsi la fiducia di tutti, o per lo meno di una grande maggioranza dei concreti lavoratori italiani, onde attuare finalmente loro una politica decisamente favorevole agli interessi del lavoro, della pace e della libertà? (p. 258).
In altri termini, come osserva Danilo Breschi nel saggio introduttivo all’opera di Rosselli, si trattava di scegliere tra «il figlio che si emancipa» e la «tetragona rigidità della dottrina marxista». L’esperienza storica ha confermato, seppur dolorosamente, la lucidità della previsione rosselliana: ciò che allora era un monito si è trasformato in una realtà amara.
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