Orazio Maria Gnerre (1993) è laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, ed in Politiche Europee e Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Politiche (”Legalità, Culture Politiche e Democrazia”) presso l’Università degli Studi di Perugia. Autore di vari libri e saggi scientifici, tra i quali Prima che il mondo fosse. Alle radici del decisionismo novecentesco (Mimesis, Milano/Udine 2018), tradotto e pubblicato anche in lingua portoghese, (Dialogo sul conflitto (Editoriale Scientifica, Napoli 2019) scritto insieme a Gianfranco La Grassa, Materiali. Reinterpretare la Rivoluzione conservatrice (Editoriale Scientifica, Napoli 2021), Nihil medium. Carl Schmitt tra passato e futuro (Morlacchi, Perugia 2024), e Conflitto e strategia. Il realismo critico di Gianfranco La Grassa (Editoriale Scientifica, Napoli 2025), scritto insieme a Piotr Zygulski.
Recensione: M. Biondi, Il discorso letterario sulla nazione. Letteratura e storia d’Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 306, € 16,00.
L’intreccio tra Risorgimento e letteratura, anche e soprattutto contemporanea, è indagato da Biondi in questo libro che, attraverso vari capitoli tra di loro tematicamente separati, intende porre generalmente l’attenzione su come il Risorgimento sia stato percepito e “digerito” dalla cultura più o meno di massa. L’elemento della percezione, a cui abbiamo fatto riferimento, è qui centrale. Alcuni dei personaggi storici del Risorgimento italiano, infatti, sono proprio visti sotto la lente della percezione collettiva o autoriale, per indagarne non tanto la loro figura storica, ma ciò che in effetti sono diventati in prossimità del centocinquantenario dell’evento storico che ha unito l’Italia. La figura di personalità come Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo non sono più solamente personalità consegnate alla storia attraverso il racconto epico del Risorgimento classico, ma elementi letterari che, di generazione in generazione, passano di mano e vengono di volta in volta risemantizzati. È questo il destino che non solo gli “eroi” e gli “antieroi” del Risorgimento devono vivere, ma che tocca al fenomeno risorgimentale stesso, passibile di interpretazioni, reinterpretazioni, oblii e nuove riprese, siano queste più o meno interessate.
L’attenzione di Biondi si pone quindi sul percorso storico-concettuale che il Risorgimento, le sue parole e le sue figure politico-ideologiche hanno dovuto percorrere, e paradossalmente questo percorso inizia con la pluralità dell’epoca rivoluzionaria per concludersi con quella del presente. Parole, concetti, personalità – infatti – hanno vissuto la loro esistenza all’interno del calderone degli eventi storici, vincendo, soccombendo o resistendo agli attacchi pubblici, singolari o collettivi. Il Risorgimento e il pantheon dei suoi eroi infatti si è costituito attraverso la creazione di canoni e idealità sempre più centripete e strutturate, anche se non necessariamente coincidenti le une con le altre. Queste ultime, vuol farci comprendere Biondi, sono infatti costruzioni politiche determinate da particolari prospettive, idealità e scopi, di carattere morale o politico. Dalla confusione risorgimentale sull’epoca rivoluzionaria si è così passato a un Risorgimento unitario, di volta in volta reintepretato e ricanonizzato a seconda della necessità o della rilettura generale dei suoi risultati e dei suoi scopi. Viceversa, più ci si è avvicinati al centocinquantenario, più sembrano essersi osservate due differenti tendenze: da un lato quella del disinteresse di massa nei confronti delle questioni nazionali e dei grandi fatti storici. Dall’altro, è ricomparsa la pluralizzazione dei significati e delle interpretazioni, al di fuori di un qualsiasi canone, fosse quello dell’Italia crispina, di quella giolittiana (abbastanza fredda sul tema) o di quella fascista. Questa pluralizzazione, ci sentiamo di arguire, deriva chiaramente da fenomeni di disintegrazione pulviscolare delle mitologie di massa. In un certo senso, però, quest’ultima permette sia la reinterpretazione feconda di fatti e contenuti concettuali, che la riattivazione (se si volesse, chiaramente) del discorso. Uno dei temi con cui il volume si introduce, infatti, è quello della commemorazione risorgimentale nell’Italia repubblicana, specie in epoche recenti.
Da qui discendono chiare letture governative che, spesso, confliggono con letture narrative, romanzesche, televisive, cinematografiche di una realtà culturale sempre più dialogata. A ciò fa da contrappeso però la restrizione sempre maggiore degli spazi culturali, non per imposizioni di regime, ma per distacco generalizzato. Ovviamente, la questione andrebbe valutata con maggiore attenzione rispetto ai giorni nostri, ma non è detto che gli esiti di tale confronto sarebbero più confortanti. Ciò detto, il volume del Biondi risulta di interesse per ricostruire la storia culturale del Risorgimento nella stessa Italia, con particolare attenzione rispetto ai destini narrativi (e quindi simbolici) che hanno vissuto i suoi protagonisti principali. Questo tipo di storia culturale è utile, a sua volta, alla ricostruzione della storia nazionale. Il discorso pubblico (incluso nel testo) e letterario è, in fondo, lo specchio con cui una nazione guarda a sé stessa.
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