Conclave, film di Edward Berger (USA, 2024). Con: Ralph Fiennes (cardinale Lawrence), John Lithgow (cardinale Tremblay), Stanley Tucci (cardinale Bellini), Lucian Msamati (cardinale Adeyemi), Sergio Castellitto (cardinale Tedesco), Carlos Diehz (cardinale Benitez), Brían F. O’Byrne (monsignore Raymond O’Malley), Isabella Rossellini (Suor Agnes). Sceneggiatura di Peter Straughan. Fotografia di James Friend e Stéphane Fontaine. Dal romanzo di Robert Harris.
La Chiesa, secondo le parole del suo primo e diretto ispiratore, avrebbe dovuto fondarsi su una pietra. E questa pietra fu Cefa, Pietro, l’apostolo di nome Simone. Un uomo di cui il suo maestro non si era sbagliato a presentire il tradimento, il proverbiale rinnegamento in triplice replica. Pietro, un rinnegatore, questo è stato il capo designato della Chiesa, colui che avrebbe dovuto legare in terra ciò che sarebbe stato legato anche in cielo, il detentore delle chiavi del Paradiso, del Regno. Certamente, la vicenda di Pietro successiva alla morte e resurrezione di Cristo narrata negli Atti potrebbe scagionarlo pienamente dall’infamia imperdonabile di aver misconosciuto il suo maestro, il Figlio di Dio e salvatore, condannandolo di fatto alla pur inevitabile passione. E tuttavia, in uno dei passi inequivocabilmente più densi e controversi del Nuovo Testamento, il Rabbi afferma a chiare lettere: «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10, 32-33).
Se Pietro, l’umano per antonomasia, è dunque questo, perché sorprendersi, allibire, sconvolgersi dinanzi alle più infamanti notizie che giungono dal mondo ecclesiastico? Perché sorprendersi degli intrighi di palazzo, delle cordate, delle fazioni e dei giochi di potere, sebbene si trovino nell’istituzione in cui tutto questo non dovrebbe nemmeno pronunciarsi, figurarsi avere luogo?
Come le api si organizzano in alveari, le formiche in formicai e gli animali in branchi, anche gli umani si organizzano tra di loro, in forme certamente assai più complesse ma non molto diverse nella sostanza, il cui senso si addensa nel concetto di gerarchia. Quasi ogni istituzione umana ne è imperniata, l’amministrazione burocratica, le cariche politiche, l’accademia, gli sport, persino la famiglia e le amicizie. Le relazioni umane sono regolate da rapporti di forza e, come il conclave mette bene in luce, anche da shakespeariana astuzia e scaltrezza.
Questo film mostra benissimo, analizzandole a turno a seconda dei cardinali accusati e gradualmente squalificati dalla corsa all’elezione, le passioni che agitano e motivano l’azione umana, la sua vita, il suo tentativo di attribuire un senso, men che meno quella dei più potenti gerarchi della Chiesa: l’ambizione del cardinale Bellini, la passione sessuale del cardinale Adeyemi, la sciatta arroganza del cardinale Tedesco, la macchinazione del cardinale Tremblay, l’ambiguità del cardinale Benitez.
Nel momento forse più delicato della sua istituzione, viene designato a guidare il conclave il Decano Lawrence, forse il più giusto, equilibrato e profondo di tutti i cardinali, quello che il defunto Santo Padre ha posto per amministrare, all’insegna del Paolo del dubbio e della certezza. Riluttante ad accettare la carica, se non nell’ultima fase di stallo, quando la sua elezione diviene ormai inevitabile, incarna esemplarmente la prudenza esistenziale che Cristo ha predicato nei Vangeli, quella di conoscere gli uomini, di guardarsi dalle loro opere e di dare la pace a chi realmente ne è degno.
Tale sembra esserlo, infine, il cardinale Benitez, quello che si direbbe un militante, un missionario che ha conosciuto carestia, guerra, fame e pestilenza, e che rispetto alla linea della fermezza propugnata da Tedesco richiama alla pace, all’inclusione e alla fratellanza. Un animo femmineo, avrebbe detto Nietzsche, e difatti così si rivela, in un finale che rischia di far crollare interamente nel farsesco un film vibrante, coinvolgente, intenso.
Le donne relegate a una condizione di minorità, come afferma giustamente suor Agnes all’invisibilità, intente a sostentare in ogni cosa i fratelli uomini più potenti, tali se non altro in virtù del loro sesso, forse ottengono un riscatto nella figura del nuovo papa Innocenzo, colui che non nuoce, che non fa del male. Un esito anche questo frutto di una menzogna, di una realtà che si rivela stavolta a cose fatte, a elezione avvenuta. Un detto recita che non si discute del sesso degli angeli. Forse di questo papa è il caso di farlo. È un velato sostegno alla comunità LGBTQIA+, una potentissima, benché silenziosa, rivoluzione all’interno della Chiesa, che vittima del suo immobilismo rischia di scomparire, inserita in un’epoca ultra-secolarizzata che potrebbe decretarne l’impoverimento e infine la dissoluzione? È molto difficile trarre delle conclusioni, a prescindere dal finale inverosimile, persino grottesco, e tale da inficiare, come detto, la resa di un film nel complesso assolutamente positiva.
Rimarrà la Chiesa, dopo i millenni? O si trasformerà in un’agenzia sociale di massa, posta in salvo dalla saldezza e dalla solennità dei suoi riti, dalla sua storia, dalla magnificenza dei suoi luoghi?
Nel film il Vaticano e Roma, a parte la necessaria Cappella Sistina, si vedono pochissimo. Ma gli scaloni monumentali, la potenza dei secoli che si riassume nelle parole e nelle procedure, quelli sono innegabili. Aveva ragione von Balthasar a intitolare la sua opera più importante Herrlichkeit, tradotta in italiano da Giuseppe Ruggieri con il titolo di Gloria, cioè il modo di darsi della presenza divina nel mondo attraverso Cristo. La magnificenza, la maestosità e l’ammirato stupore che si provano sedendosi tra le colonne di Piazza San Pietro o accedendo alla basilica, sono le parole della concretezza del sacro.
Lawrence, l’unico degno di diventare papa è però quello meno indicato, perché l’uomo giusto è quello che, Ubi Periculum, sa agire opportunamente. Sta scritto infatti nella costituzione apostolica che regolò l’elezione papale, promulgata da Gregorio X il 16 luglio del 1274: «Dove si riscontra un maggior pericolo, lì senza dubbio bisogna provvedere con maggiore opportunità»[1]. Lawrence assume quindi un ruolo ancora più delicato di quello del pontefice, la funzione del quale si riassume, e in fondo si riduce, nell’essere la testa di legno della fazione che lo sostiene.
La roccia su cui avrebbe dovuto edificarsi la chiesa è però un animale, sottile metafora con cui si conclude il film, con il Conclave riuscito: la tartaruga uscita dallo stagno e riportata al proprio posto dal cardinale Lawrence, l’amministratore, mentre la folla giubilante accoglie l’elezione del nuovo papa Innocenzo. Stagno delle tartarughe, regalo fatto al pontefice precedente, in cui, per la prima volta, si incontrano e discutono Lawrence e Benitez, realizzando così il vero disegno: quello del defunto Santo Padre, il regista della sua successione, il quale ha fatto fuori con il suo piano i favoriti indegni, messo Lawrence alla guida del conclave e scelto Benitez creandolo cardinale. L’opera dello Spirito si è compiuta.
[1] Citata in A. Paravicini Bagliani, Morte ed elezione del papa. Norme, riti e conflitti. Il Medioevo, Viella, Roma 2013, p. 35. Dello stesso autore, per una prospettiva storicamente più ampia e complessiva, cfr. Il Conclave. Continuità e mutamenti dal Medioevo a oggi, Viella, Roma 2018.