Lara Gallarati (1994), diplomata al Liceo Scientifico "Paolo Frisi" di Monza, è avvocato a Milano. Collabora con la rivista online «Salvis Juribus» e con il blog "DirittoConsenso".
Recensione a: M. Menin, Rousseau, un illuminista inquieto, Carocci, Roma 2021, pp. 351, € 29.00,
Jean Jacques Rousseau, filosofo settecentesco noto e studiato per il suo famosissimo Contratto Sociale, ha approfondito una vastissima moltitudine di ambiti del sapere, riconnettendoli organicamente l’uno con l’altro in un’affascinante unità.
Ritengo che questo sia il maggior pregio del saggio di Marco Menin, che qui commentiamo: emancipa Rousseau dalla posizione di mero filosofo politico, conducendo il lettore in un lungo viaggio tra educazione, antropologia, religione, morale, persino musica, letteratura e amore, restituendo così l’immagine di un pensatore a tutto tondo, decisamente più completa di quella generalmente conosciuta.
Il comune denominatore è il rapporto tra il singolo e la dimensione sociale, connotato da una conflittualità che, però, è solo apparente. Ciò emerge innanzitutto nel contratto sociale e nel passaggio dallo stato di natura all’appartenenza alla comunità: la società non è un’imposizione di vincoli con conseguente sacrificio di identità, ma è lo strumento che gli individui adottano per passare da una libertà connotata da disuguaglianza, uso della forza e impulsi, ad una, invece, connotata da moralità ed uguaglianza.
Analogamente può dirsi per il tema dell’amore e in generale delle passioni umane, rapportate ad una collettività fatta di costumi e di convenzioni: non sono dimensioni che devono necessariamente porsi quali reciproci opposti inconciliabili. Sulla base del principio di perfettibilità, le passioni e gli istinti, come anche le convenzioni sociali, possono essere qualcosa di buono o di cattivo per l’essere umano in base all’uso che ne fa. L’uomo si connota per due principali pulsioni anteriori alla ragione: l’amore di sé, cioè l’interesse per il proprio benessere e la propria conservazione, e la pietà, cioè la ripugnanza nel veder morire o soffrire ogni essere sensibile e in particolare i propri simili. Il perfetto equilibrio tra questi due fattori, che si raggiunge tramite la dimensione morale estranea allo stato di natura e appartenente alla socialità, crea un tipo di amore che prescinde dal possesso e da qualsiasi egoistico e naturale do ut des, permettendo all’essere umano di costruire una prospettiva non limitata al soddisfacimento di impulsi immediati ma, invece, idonea a creare un nucleo sociale, proiettata quindi verso una dimensione collettiva, non solo individuale.
Purtroppo, l’amor di sé (amour de soi), sentimento assoluto, naturale e dunque buono per definizione, secondo il naturalismo mitizzato e mitizzante rousseauiano, è minacciato, una volta che l’uomo entra in società, dall’amor proprio (amour propre), che è semore negativo, proprio perché nasce dal confronto con gli altri. Ciò significa che è un sentimento sociale, che sorge dallo sguardo degli altri ed è subordinato all’opinione. Un segno di corruzione, in altre parole.
Un ultimo, ulteriore esempio di come Rousseau tratti il tema dell’amore riguarda l’educazione del fanciullo. In questo ambito viene valorizzata in senso molto più positivo la dimensione naturale: Rousseau ritiene che il fanciullo debba essere formato innanzitutto attraverso esperienze di senso, tramite l’ispezione del mondo, senza sovrastrutture culturali, in modo tale da imparare ad usare le proprie autonome forze per superare le difficoltà. Come osserva Menin,
L’artigiano, che utilizza le proprie mani, non è subordinato né alla fortuna né agli uomini, dipende solo dal suo lavoro ed è per questo da considerarsi libero, esattamente come l’uomo di natura.
Solo dopo aver passato questa prima fase il fanciullo potrà, in adolescenza, conoscere la dimensione sentimentale e morale, per far sì che l’amor di sé si estenda anche al prossimo. Per sviluppare la pietà, occorre che l’adolescente inizi a sapere che esistono individui come lui, che hanno sofferto quanto lui e superato le sue stesse difficoltà. «Sono le nostre miserie comuni che sospingono i cuori a quell’umanità alla quale non dovremmo nulla se non fossimo uomini»”, si legge nell’Emilio.
Chiaramente questo contributo riporta le tesi del filosofo e gli approfondimenti dell’Autore in maniera sintetica, ma si può già intuire da questo primo insieme di argomenti la complessità del pensiero del filosofo francese, non riducibile al mero contrasto “stato di natura/società evoluta”.
Un altro profilo su cui lo scritto in commento si contraddistingue rispetto alle posizioni tradizionalmente (e semplicisticamente) attribuite a Rousseau è il raffronto con altri pensatori del suo tempo, da cui emergono degli elementi di distanza dall’Illuminismo classico.
Questo distacco si appalesa nel tema religioso, nell’ambito del quale gli illuministi “duri e puri” professavano un radicale ateismo, mentre Rousseau ritiene che l’uomo, privo di dimensione religiosa nello stato di natura, maturi uno spontaneo, puro, immediato cristianesimo nel momento in cui si confronta con l’altro. Con lo sviluppo della società, poi, si viene a creare un’ulteriore tipologia di religione, quella dogmatica e interpretata dai ministri del culto, fortemente osteggiata dal filosofo in quanto artificiale e corrotta, sconnessa dalla dimensione spirituale del singolo.
Altro esempio in questo senso è quello della libertà umana. Ad un radicale determinismo per cui l’uomo sarebbe una sorta di automa in balia delle esperienze dei sensi e determinato, per l’appunto, solo da esse, Rousseau sostiene l’esistenza di una libertà morale nell’uomo, di una libertà di scelta che lo differenzia dalle altre specie animali.
Il corposo e denso saggio di Menin approfondisce tantissime altre tesi sostenute da Rousseau, certamente non trattabili con esaustività con il presente contributo. Volgendo dunque alla conclusione, ritengo che si tratti di uno scritto d’obbligo per i “non addetti ai lavori” intenzionati a conoscere il pensiero del filosofo in maniera più accurata e raffinata. Soprattutto questo volume consente di tornare a leggere Rousseau nei vari contesti del suo lungo, multiforme e anche travagliato, percorso di formazione, per cui ogni suoi scritto riflette anche un periodo significativo della sua esistenza.