Fabio d'Orsi (1993) ha conseguito con lode, nel gennaio 2022, la laurea magistrale in Scienze storiche presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" discutendo una tesi in archivistica contemporanea dal titolo "Attacchi alle Basi (1940–1943) Inventario analitico. Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare", con la quale, nel medesimo anno, ha vinto il primo premio al concorso nazionale a premi per tesi di laurea e dottorato 2022 bandito dal Reparto Affari Generali dello Stato Maggiore Marina. Sempre nel 2022 ha frequentato con profitto il Corso di Alta formazione in Archivistica contemporanea presso l'Archivio Centrale dello Stato dove ha lavorato come archivista libero professionista fino ad ottobre 2023. Attualmente è dottorando in Storia e culture dell'Europa presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza".

Recensione a: M. Grasso, L’oppositore. Matteotti contro il fascismo, Carocci, Roma 2024, pp. 214, € 21,00.

Nel centenario della morte di Giacomo Matteotti, tra i molteplici contributi pubblicati in memoria del Presidente del Partito Socialista Unitario, di particolare rilievo è certamente il volume L’oppositore. Matteotti contro il fascismo di Mirko Grasso, edito dalla casa editrice Carocci editore.

Sebbene discutere dell’assassinio sia imprescindibile per chiunque voglia occuparsi di Giacomo Matteotti, l’opera di Mirko Grasso ha una chiara focalizzazione, ed è l’Autore stesso a dircelo nella premessa: «Nelle pagine che seguono, il delitto, però, è solo rievocato e resta sullo sfondo, perché si tenta di costruire un profilo di Matteotti privilegiando la dimensione intellettuale e politica per meglio spiegare la sua tenace battaglia contro il fascismo» (p. 12). Uomo colto, dunque, che partendo dalla politica locale, dal Polesine – sua terra natia – arrivò in Parlamento con le elezioni politiche del 1919. Grasso, attraverso un attento studio di cospicue fonti documentarie (tra cui gli scambi epistolari con Velia Titta, moglie del socialista e fautrice delle sue idee) descrive la poliedrica figura di Matteotti, fornendo al lettore gli elementi utili per spiegare e comprendere in maniera più limpida il rapimento e l’assassinio avvenuto il pomeriggio del 10 giugno 1924 a Roma da parte di sicari fascisti, nonché la sua eredità ideologica e politica (sia per il suo tempo che per i decenni successivi).

«Diffidente nei confronti dei moduli astratti e schematici, poco incline al dogmatismo, attento invece al dato concreto […]» (p. 54) il giovane politico, sin dal 1908 – anno della sua prima esperienza politica amministrativa in qualità di consigliere comunale a Fratta Polesine – viene definito un «riformista pragmatico», vicino ai reali problemi della gente e che mise al servizio dei più deboli i suoi studi in campo giuridico (si laureò in Giurisprudenza nel 1904 a Bologna). Sempre in quegli anni, grazie ai primi viaggi in Europa (Inghilterra, Belgio, Olanda, Francia e Austria) si avvicinò ai sistemi detentivi del Vecchio Continente, ed in particolare a quello inglese, comparandoli a quello italiano ed approfondì la tematica della recidiva. «La riflessione in questo settore, per la formulazione dell’intervento legislativo coerente con i principi delle moderne democrazie, che si misurano sulla qualità del sistema detentivo e sulla capacità di reinserire il reo nella società, soprattutto in riferimento ai delinquenti minorenni sui quali si sofferma, arricchisce la proposta di Matteotti a favore delle masse reiette» (p. 84). Ciò fa di lui un militante, un amministratore, un pacifista nell’ambito della Grande Guerra e un politico di matrice europeista.

Non solo. Matteotti studiava, tanto. E questo fu una vera spina nel fianco per Mussolini e per il regime fascista. Arrivò a Montecitorio con una ricco, quanto rigoroso, bagaglio da amministratore locale (oltre alla già citata attività di consigliere comunale fu anche sindaco di Villamarzana, in provincia di Rovigo, dal 1912 al 1914) e quindi con grande contezza delle fragilità sociali e lavorative che la gente, i contadini, gli operai e i lavoratori si trovavano ad affrontare nella quotidianità; su questa linea, negli anni di attività parlamentare, attraverso lo studio dei bilanci del Governo, Matteotti, mise in luce gli abusi e i favoritismi ai grandi gruppi di industriali, tutto a discapito delle fasce più basse della popolazione: «Ciò certamente rappresenta, insieme alla martellante campagna contro le violenze, il suo cavallo di battaglia contro il regime, introducendovi un particolare criterio di valutazione, quello di confrontare l’andamento dell’economia, del bilancio pubblico o dei salari in Italia con quello degli altri paesi» (p. 126). Significative a tal riguardo sono le pagine che l’Autore dedica all’ultimo anno di vita di Giacomo Matteotti, che non a caso coincide con quello delle elezioni politiche che si tennero il 6 aprile 1924; le prime espletate con la Legge Acerbo del novembre 1923 e che introduceva un premio di maggioranza al sistema proporzionale (voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare). L’ultimo anno di lotta, così lo definisce Mirko Grasso, fu caratterizzato da un clima elettorale cupo, fatto di violenze e soprusi di cui lo stesso Matteotti fu vittima durante la campagna elettorale, prima del tragico epilogo ad elezioni espletate.

Di particolare nota è il passaggio che l’Autore riserva all’analisi fatta da Matteotti sui dati elettorali e sull’esito del voto:

Nelle zone dove la classe lavoratrice era più matura, nel triangolo industriale ad esempio, trova che gli elettori erano stati meno condizionati dai metodi fascisti, nelle aree in cui lo schiavismo agrario era stato sistematico (quelle, cioè, in cui era crollata l’antica organizzazione socialista sotto le violenze fasciste, cioè nel Polesine, ma anche nell’Italia centrale) il fascismo era riuscito a raggiungere il massimo delle preferenze mentre nel Sud vedeva riaffiorare i metodi elettorali corrotti già espressi (p. 149).

All’osservazione e all’approfondimento deve essere senza dubbio accostata la formazione e la militanza socialista – riformista e pragmatica, come detto precedentemente e lungi da postulati – che gli fornirono gli strumenti per evidenziare prima le fallimentari politiche liberali e poi per combattere la degenerazione politica mussoliniana. Un ulteriore elemento che emerge dalle pagine del volume è l’internazionalismo, spesso dimenticato, di Giacomo Matteotti. L’Autore, ben documentando quanto scrive, dà luce a quell’attività parlamentare del politico volta a denunciare in Europa le vicende italiane sotto il regime e a quanto egli si sia dedicato alla comprensione delle dinamiche emerse dal dopoguerra, alla questione tedesca e alla Società delle Nazioni, specie per il rapporto tra gli Stati in chiave europeista, contro i nascenti nazionalismi, e favorendo il processo che avrebbe voluto la nascita degli Stati Uniti d’Europa. Il suo europeismo passa anche per la cultura, la musica e l’arte: «Attraverso i richiami all’arte e alla cultura espressi nell’attività politica si completa il quadro della vicenda intellettuale e umana di Matteotti, la quale, anche in questo campo, esprime interessanti risvolti» (p. 170). Risvolti che vedono la cultura, ed in particolare l’arte, a sostegno della democrazia in Italia e in Europa.

L’ambizioso e riuscito lavoro di Mirko Grasso sicuramente accresce qualitativamente l’imponente bibliografia già esistente su Giacomo Matteotti; è doveroso, a mio avviso, anche valorizzare la qualità delle fonti archivistiche che l’Autore ha utilizzato per la stesura del volume e che gli danno un carattere rigorosamente scientifico ed estremamente attendibile. Ciò però non significa che il lavoro è rivolto solo agli storici di professione o ad intenditori, anzi; il libro è un prezioso spunto di riflessione per chiunque voglia approfondire le proprie conoscenze, non solo su Giacomo Matteotti, ma anche sulle origini del fascismo in Italia.

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