Luca Baldassarre (1989) è docente di Filosofia e Storia nei licei. Laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi su Theodor W. Adorno, ha successivamente svolto attività di ricerca sulla Teoria critica della Scuola di Francoforte, con particolare interesse verso le varie declinazioni della critica dell’industria culturale. Fra le sue pubblicazioni: La Scuola di Francoforte. Una introduzione (Editrice Clinamen, Firenze 20213); Gli scrittori neri della borghesia. Theodor Adorno e il finale di partita (Clinamen, 2016); Gli uomini del cortocircuito. Per una critica dell’infantilismo ipermoderno (Clinamen, 2017).
È divenuto un diffusissimo luogo comune affermare che le nuovi generazioni sono fragili e bisogna difendere questa fragilità. Dato che – insisto sempre – l’etimologia delle parole che usiamo quotidianamente è di fondamentale importanza: cosa intendiamo con fragilità?
Fragile ha la medesima origine di frantume, affranto, fratto, frammento: deriva da frangere, ovvero rompere. Fragilità è lo stato di chi si è spezzato, di chi ha subito un trauma. E solo queste generazioni sarebbero fragili? Non è piuttosto parte dell’essenza stessa dell’essere umani? Certo che bisogna difendere questa fragilità: significa rispettare l’esperienza di ogni individuo, le sue sofferenze, le sue cadute, gli inciampi, gli errori. Ma queste nuove generazioni non sono fragili: sono deboli.
Debole – sempre dal latino – viene da de–habilis: inabile, privo di forze, incapace. E, diversamente dalla fragilità, queste generazioni non sono deboli per una mancanza costitutiva, non sono deboli perché caratterizzate da una inettitudine incorreggibile. Queste generazioni sono deboli proprio perché noialtri ne elogiamo la debolezza, scambiamo debolezza e fragilità, giustificando ogni caduta e ogni inciampo in quanto tale, non come la possibilità di ripartenza, ma come una qualità in sé.
Fragilità non è il contrario di forza, ne è il presupposto: esaltando invece la debolezza, facciamo un torto alle fragilità, producendo generazioni di incapaci.
Il problema, insomma, non sono i ragazzi: sono gli adulti. E i ragazzi, che a ogni piè sospinto cercano di mettere in risalto la differenza generazionale, dovrebbero fare attenzione non a chi cerca di risollevarli dal torpore cui quest’epoca storica li condanna, ma a chi, accarezzandoli, non fa che alimentare questo torpore.