Carmelo Caruso (1979) si è laureato in Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” con una tesi dal titolo La Democrazia cristiana e gli Stati Uniti nella prima legislatura dell’Italia repubblicana. Nel 2016 ha conseguito un master in “management delle Amministrazioni pubbliche” presso l’Università della Calabria e oggi studia Giurisprudenza nello stesso ateneo; attualmente lavora come funzionario in un Ente Locale. Ha collaborato con riviste online pubblicando contributi e recensioni ad argomento storico-sociale, filosofico e giuridico. I temi fondamentali, affrontati da diverse angolature, ruotano soprattutto attorno alle questioni della storia contemporanea dell’Europa e del suo ruolo nel sistema internazionale, nonché della crisi politica e spirituale dell’Occidente.
Recensione a: G. Sapelli, Nella Storia mondiale. tati, mercati, guerre, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2021, pp. 338, € 24,50.
Riuscire a trovare un filo conduttore negli eventi del momento presente è sicuramente un’impresa non priva di ostacoli: le trasformazioni economiche e sociali negli ultimi decenni si sono avvicendate con un’accelerazione in continuo crescendo. Nonostante tutto, il testo di Giulio Sapelli offre un’interpretazione estremamente accurata e sicuramente convincente degli eventi del nostro tempo.
Il professore, evidentemente animato da uno spirito di onesto rigore scientifico, conduce il lettore al cuore dei dilemmi del mondo contemporaneo; pur manifestando i propri riferimenti ideali, non si serve certamente di essi per un uso strumentale, improntando l’analisi dei problemi a un costante vaglio critico. Naturalmente, risalta anche la densità dello stile, che denota a una prima lettura la ragionevole complessità dello studio, tesa a cogliere le diverse sfaccettature del mondo contemporaneo. Senza celare i suoi orientamenti marxisti, valutati soprattutto sul piano dell’analisi economica, né l’influenza del personalismo cattolico nella propria visione morale, l’autore sembra accordare il ruolo di matrice del disagio epocale soprattutto al vuoto etico dei nostri tempi: il fil rouge che connette i segni dell’attuale decadenza planetaria è la riappropriazione degli spazi di potere da parte di uno stato di natura belluina legalizzata; non a caso, nel libro compare un esplicito riferimento al Leviatano di Hobbes, sorto dalla necessità di garantire sicurezza e pace sociale, ma al cui posto si insedia Behemoth, tutore della disgregazione umana.
Al libro è infatti connaturata l’idea che in ogni parte del globo il potere si stia sempre più concentrando in minoranze autoreferenziali, che si rendono protagoniste di un’appropriazione neo-patrimonialista dei centri decisionali. Queste élites, anziché assumere un ruolo di garanzia della stabilità politica, aprono dei varchi nei processi di una sana legittimità rappresentativa, e, impedendo la rigenerazione di sé stesse, ostacolano la realizzazione di una buona politica. Si creerebbe così una situazione agli antipodi di quanto le teorie di Gaetano Mosca e Ortega y Gasset concepivano riguardo al ricambio del ceto dirigente, secondo cui l’emersione dei soggetti più capaci e adatti a manovrare le leve della Res Publica favorirebbe efficienza e governabilità. Al contrario, le attuali élites sembrano sempre meno permeabili all’accesso di elementi esterni, cooptando la classe politica all’interno di ristretti circoli uniformati fideisticamente al credo della finanziarizzazione speculativa dell’economia reale.
Sapelli trova la causa profonda delle distorsioni dei meccanismi democratici in un vulnus – in senso lato spirituale – che affligge in particolar modo l’occidente europeo. Sin dalle prime pagine si evidenzia come ogni livello della società mondiale, in particolar modo nell’ultimo quarantennio, sia stato permeato da un radicale individualismo definito, senza esitazioni, «anomico». L’economista torinese coglie il venir meno, principalmente in Europa e in tutto l’Occidente di un senso etico dello Stato, tale da condurre la politica ad asservirsi a interessi particolaristici. La stessa finanza mondiale tende a muoversi al di sopra delle regole, anzi essa stessa ne crea di nuove, imponendo una sua governance globale. La libertà di mercato, tutelata dall’imperativo laissez-faire di matrice fisiocratica e smithiana, si è costituita in sistema ideologico con i suoi dogmi, mettendo al bando ogni eventuale eresia: l’«ordo-liberismo», tra i cui principali alfieri Sapelli ricorda soprattutto Walter Eucken, rappresenta la giustificazione dottrinale dello status quo. In questo senso, il capitalismo finanziario globale istituzionalizzato, prestandosi a un’interpretazione unidirezionale della realtà, diventa esso stesso una sorta di religione priva della dimensione trascendente.
Questa lettura traspare con particolare evidenza dal Capitolo XII, appunto intitolato «il ritorno all’economia morale». In queste pagine, la questione è ricondotta alla sua radice antropologica, ovvero allo sradicamento da ogni legame solidaristico e comunitario. Sapelli, tuttavia, non si ferma alla sola descrizione del fenomeno; lo studioso ravvisa l’urgenza di contrapporre all’individualismo liberista una concezione personalista: ovvero, una visione dei rapporti umani in cui il soggetto non costituisce una monade isolata, ma è immerso all’interno di una rete relazionale. Questa interpretazione del rapporto tra individuo e società è alternativa al marxismo rinnegandone il rapporto meccanicistico economia/cultura; ma anche alla stessa deregolamentazione del mercato. In altre parole, il singolo non è “assorbito” nella collettività al punto che le sue aspirazioni e pretese abbiano un significato esclusivamente in funzione dello Stato; al contempo, l’individuo non può considerarsi neppure totalmente e arbitrariamente padrone delle proprie decisioni, per l’imprescindibilità di vincoli solidaristici. Si tratta del tentativo di porre il principio del rispetto della dignità umana alla base della convivenza civile, e, conseguentemente, della regolazione dei rapporti economici; il che, fra l’altro, non è lontano dallo spirito che animò l’Assemblea Costituente. Sullo sfondo traspare la significativa influenza del pensiero di Emmanuel Mounier, che come afferma lo stesso Sapelli ha influito enormemente sulla sua formazione.
In questo discorso si inserisce la questione cruciale della «ragion di Stato». Sapelli chiama in causa questo concetto nella sua evoluzione storica plurisecolare, dalla prima età moderna sino agli sviluppi attuali, inducendo il lettore a interrogarsi sul senso stesso della convivenza civile. Ma in cosa consiste esattamente la «ragion di Stato»? Con un esplicito richiamo alla dottrina di Botero parafrasata da Luigi Firpo, si individua nella «conservazione» e nella «cura» del bene collettivo la risposta a tale interrogativo. La garanzia della stabilità sociale costituisce il fine ultimo dell’organizzazione statale. Essa è il tratto comune alle varie teorie della «ragion di Stato», rappresentando un’idea di vitale attualità per il contesto politico presente, nel significato di anteporre il bene comune agli interessi di parte.
L’attualità di questa idea diventa ancora più evidente in relazione alla magmatica evoluzione degli scenari geopolitici planetari, prima e dopo la crisi pandemica, dove si assiste alla difficoltà di raggiungere uno stabile equilibrio mondiale. Dietro l’apparente uniformità della globalizzazione, si fronteggiano ancora differenti visioni del mondo, recanti ciascuna un’aspirazione egemonica proiettata, in un modo o nell’altro, verso un proprio Lebensraum. Lo sono naturalmente gli Stati Uniti, saldi nel predominio globale in chiave economica e militare, sia mantenendo ferme le roccaforti occidentali dei membri Nato, sia cercando di espandere la propria influenza sempre più verso la frontiera eurasiatica. La Federazione Russa di Putin, invece, dopo un tormentato processo di state-building seguito al disfacimento dell’Unione Sovietica prima, e poi a quello della Russia di Eltsin, intende difendere il legame nella regione con le ex repubbliche sovietiche, oggi indipendenti, ma quantomai vitali per gli interessi economici della nazione; e creando, contemporaneamente, una rete di rapporti commerciali con i paesi dell’area BRICS e in Africa. Essa però deve fronteggiare inadeguatezze strutturali interne, in parte derivanti dalla sua stessa chiusura verso il mondo occidentale. Infine, ma non certo per minore rilevanza, l’emersione della Cina quale potenza con ambizioni talassocratiche, che vorrebbe proiettarsi sullo scacchiere internazionale con una veemenza inusitata. Eppure, anche la stessa Cina manifesta molte palesi debolezze, le quali appaiono trarre origine dall’ossimoro di un capitalismo pianificato, guidato da un regime non certamente ascrivibile all’immagine della democrazia, almeno così come viene raffigurata nel mondo euro-americano.
Il grande assente in questa repentina quanto imprevedibile evoluzione degli scenari globali secondo Sapelli è l’Europa trainata dall’economia tedesca, dove si percepisce un gap diffuso tra la deriva puramente tecnocratica dell’Unione e il deficit rappresentativo di quest’ultima. Essa è incapace di esprimere una sua visione strategica autonoma, che non sia la mera riproposizione di un disordine istituzionalizzato funzionale alla finanziarizzazione senza regole dell’economia. In questo vuoto si insediano a piene mani le potenze planetarie, tentando di esercitare la propria influenza nella maggior misura possibile. Chi può trarre vantaggio da un’Europa debole e disgregata se non tutti quegli attori internazionali che intendono monopolizzare la scena mondiale? Divide et impera.
La risposta deve essere data in termini in senso lato spirituali, per poi essere tradotta sul piano politico. Occorrerebbe quindi un’opera di sana conservazione, di riscoperta e affermazione dei principali fondamenti valoriali della civiltà occidentale: libertà, Stato di diritto, democrazia, solidarietà, rispetto della dignità umana; antidoti contro il dilagante disorientamento interno al continente, ma anche al caos globale. Forse, allora, quella stessa Europa costretta oggi a replicare copioni scritti altrove, potrebbe avere un senso e una rinnovata dignità; magari interponendosi nell’agone diplomatico tra Usa e Russia, per favorirne quella che l’autore, con esplicito richiamo al Congresso di Vienna, definisce entente cordiale, possibile argine alla complessa e magmatica crisi mondiale.