Hervé A. Cavallera (1946) già professore ordinario, ora onorario, di Storia della Pedagogia nell’Università del Salento, dove ha ricoperto la carica di direttore del Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche, poi quella di presidente dei corsi di laurea in area pedagogica. È componente dei Comitati scientifici della “Fondazione Ugo Spirito” (Roma), della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” (Università di Roma – “La Sapienza”), del Centro Interuniversitario di Bioetica e Diritti Umani dell’Università del Salento e della “Fondazione Elémire Zolla”. È socio della Società Italiana di Pedagogia e del Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa, di cui è membro del Direttivo; è Socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia (ed è Presidente della Sezione di Tricase) e di altre associazioni scientifiche nazionali e internazionali. È direttore del Centro Interuniversitario di Bioetica e Diritti Umani. È il curatore delle Opere complete di Giovanni Gentile e componente del comitato scientifico per l’edizione nazionale delle Opere di Ugo Spirito. Tra i suoi più recenti volumi: Etica e politica in Ugo Spirito (2010); Educazione ed estetica in Ugo Spirito (2010); Max Horkheimer e Theodor W. Adorno. Tenebre e dialettica (2012); Spinoza. La saggezza dell’Occidente (2014); Introduzione alla Storia della pedagogia (2021; nuova ediz.).

Recensione a: U. Spirito, L’avvenire  della globalizzazione. Scritti giornalistici (1969-79), a cura di D. Breschi, Luni Editrice, Milano 2022, pp. 392, € 25,00.

Danilo Breschi ha opportunamente raccolto in volume degli scritti di Ugo Spirito apparsi sui vari quotidiani nell’ultimo decennio della vita del filosofo. Opportunamente si è detto, in quanto il volume si presenta in una forma organica che consente non solo una analisi storica di alcuni avvenimenti del tempo (il divorzio, il terrorismo ecc.), ma mostra come Spirito sapesse non solo leggere con lucidità il momento storico, ma riuscisse a intenderne gli sviluppi, sì che numerosi suoi rilievi sono tuttora attuali.

Nella sua ampia introduzione (Fenomenologia dell’ultimo Ugo Spirito, pp. 11-61), che poi è un saggio critico, Breschi sostiene che «l’approdo finale della riflessione di Spirito è il transumanesimo, che in queste pagine suona anzitutto come una constatazione, quasi una mera descrizione, fredda e disincantata» (p. 40). Un transumanesimo che conduce rapidamente al postumanesimo in quanto «attraverso lo sviluppo delle scienze applicate all’uomo, nell’insieme della sua struttura  psicofisica e del corredo genetico (neurofarmacologia, biotecnologia, genomica, robotica, nanotecnologia, informatica, ecc.), diventa possibile prefigurarsi un superamento della condizione umana consentendo così agli individui di diventare “più che umani”, magari un’ibridazione tra uomo e macchina» (p. 41). Sotto tale profilo, come rileva giustamente Breschi, Spirito riesce a leggere e ad anticipare le linee innovative del reale, linee che aprono a percorsi che ovviamente non si possono delineare nella loro interezza.

All’interno di tale prospettiva sono da leggere nel volume le analisi della crisi del sistema democratico, del declino del cattolicesimo e del comunismo, della fine insomma di quelle fedi che hanno a lungo retto la storia dell’Occidente. Sono considerazioni che non possono che sollevare ulteriori disamine, come nel caso della crisi del sistema democratico in cui Spirito individua assai bene il paradosso di una maggioranza non qualificata, se non anagraficamente, che elegge senza formazione alcuna una minoranza che la governa. Il mondo si sfalda e il filosofo ben si accorge della frattura tra le generazioni. Così, quando Spirito scrive che vecchi e giovani non sanno più parlarsi e che «per quel che riguarda i maestri, bisogna riconoscere che essi si sono staccati dalle nuove generazioni, e sono rimasti legati a un mondo che fu. Senza religione, senza filosofia,  senza volontà rivoluzionaria, i maestri non hanno saputo insegnare nulla di nuovo, né alimentare alcuna speranza concreta. La scuola è fallita, senza possibilità di recupero» (p. 233), egli coglie con largo anticipo le ragioni di un assenteismo alle vicende elettorali che diventerà estremamente allarmante col nuovo secolo. Ciò che dello spirito della contestazione rimane sono le forme «della  aggressività dei singoli e dei gruppi delinquenziali» (p. 235).

Invero in Spirito vi è la consapevolezza, espressa all’interno delle pagine della raccolta, del fallimento di un sistema politico che non ha saputo formare e soprattutto reggersi sui competenti; vi è insomma la constatazione  delle istanze rivoluzionarie da lui espresse, negli anni Trenta, attraverso la sua concezione del corporativismo. Il fallimento del passato e la incertezza del presente con le sue contraddizioni, che il filosofo indaga con fredda lucidità, non possono che far guardare al futuro. Di qui la fiducia verso la futurologia, ma anch’essa non può che essere effimera:

Tutti, oggi, parlano di futuro. Dove andiamo? Ma nessuno sa rispondere. Per rispondere, infatti,  dovremmo sapere chi fa il futuro. Ma la realtà di oggi non ci consente di saperlo, perché non ci consente di sapere tutto. La storia della scienza ormai ha raggiunto un orizzonte la cui informazione non può essere più dominata (p. 304).

E allora? Non resta, per Spirito, che l’attesa di un mondo di cui si è in qualche modo gli artefici inconsapevoli. Dall’avvenire, scrive il filosofo,

si attende quello che oggi ci manca: il tutto e il nulla. Ci manca il tutto perché non riusciamo a dare significato al presente, ma poi non sappiamo desiderare nulla, perché nulla ci appare come degno contenuto delle nostre aspirazioni. La realtà, dunque, ci appare soltanto come un’attesa. Ma non l’attesa di ciò che dipende da noi e in cui possiamo impegnarci con tutte le nostre forze. Quest’attesa non ci può essere e non c’è. È piuttosto l’attesa di un mondo che cambi e che cambi da sé (pp. 251-252).

È evidente che Spirito, mentre da un lato è un ottimo lettore del tempo, dall’altro prospetta una realtà esistenziale in cui le dinamiche sfuggono agli stessi promotori. Al filosofo può solo restare il compito di chiarire l’accaduto e quello che va accadendo, cosa che Spirito fa molto bene, basti pensare alla sua disamina del fascismo o dei suoi rapporti con Gentile, per quanto riguarda il passato, e ai temi del post-Concilio e del femminismo per quanto riguarda il presente. Allo stesso modo egli sa mettere in guardia, con circa mezzo secolo di anticipo rispetto a quello che oggi accade, sulle ambiguità della comunicazione di massa:

L’informazione mi giunge di momento in momento. Non posso lasciarmela sfuggire. Debbo essere al corrente della storia del mondo. Debbo essere colto. Ma se debbo essere colto come posso esserlo? Come posso rispondere alle mie informazioni? […] Per tali vie la cultura si accumula ad ogni passo. Ma può essere vera cultura? […] la competenza verso la perfezione. E la cultura verso il vuoto. Non perché la cultura venga a mancare di quantità o perché diminuisce di proporzioni. Ma proprio per il contrario. L’“informazione” ci costringe all’ignoranza. Non abbiamo più la possibilità di sapere quello che ci è necessario e anzi indispensabile. Non facciamo in tempo.  Troppa cultura, dunque.  E quindi falsa cultura (pp. 354-355).

Che avrebbe oggi detto nella realtà dei social?

Per tutte queste ragioni, il volume, che in Appendice (pp. 357-385) contiene delle testimonianze di studiosi (G. Bedeschi, H. A. Cavallera, F. Perfetti, A. Russo) che hanno personalmente conosciuto Spirito, è un testo fondamentale sia per riflettere su problemi estremamente attuali sia per intendere l’itinerario speculativo di Ugo Spirito che è tra i maggiori filosofi della seconda metà del Novecento italiano e sicuramente tra i filosofi colui che più si è soffermato sulla ricerca del significato del proprio tempo cogliendo con estrema chiarezza l’allargarsi dell’orizzonte della comunicazione.

Da questo punto di vista è assai felice la scelta del titolo (L’avvenire della globalizzazione) in quanto il filosofo l’aveva in vario modo anticipata, ma al tempo stesso aveva chiarito, come si è visto, che l’unificazione del mondo non avveniva in base ad un progetto di armonizzazione universale, bensì alla luce dello sviluppo tecnologico sì che il risultato non solo è fuori di ogni previsione, ma anche di ogni dimensione etica. Proprio il concetto di una passiva attesa del nuovo o dell’accettazione dell’esistente in quanto esistente pone infatti la realtà fuori di ogni logica etica. Accade ciò che accade e in questo accadere si fondono in una prospettiva problematicistica le eredità del positivismo e dell’attualismo. L’analisi spiritiana è sempre quella di un pensatore  con un preciso iter concettuale, ma che sa continuamente mettersi in gioco. Di qui il fascino che le sue pagine conservano e lo stimolo che continuano a trasmettere.

Si pensi, ad esempio, all’articolo Il fascino del passato in cui Spirito dimostra in maniera inequivocabile il valore educativo della storia, di quella storia che certa politica dei nostri giorni vorrebbe mettere in secondo piano. Scrive Spirito che il passato

è anche il presupposto di ogni giudizio positivo. Esso ci segnala, infatti, tutto ciò che ha resistito al tempo, scoprendo tutte le forze avverse. Per resistere doveva avere i requisiti necessari al superamento delle difficoltà e dei dati negativi. […] Il passato, in altri termini, finisce col diventare la misura del valore di ogni evento e il criterio orientativo per le scelte da effettuare. Fa cadere ogni arbitrio e dà la sicurezza della via da percorrere (p. 299).

Parole che hanno un chiaro significato pedagogico e che mostrano altresì come il libro non debba essere letto come una mera dissoluzione delle certezze, anche perché, vien da dire, è un libro di un vero filosofo che sa bene, come spiega in un altro articolo, che «la storia ci insegna che senza filosofia non si è mai vissuti. L’umanità ha sempre creduto. E ha sempre voluto un mondo migliore» (p. 306). Pertanto, grazie al lavoro di raccolta e alla prefazione di Breschi, L’avvenire della globalizzazione si conferma, al pari delle altre opere di Ugo Spirito, come un libro importante sia per comprendere il reale sia per le sollecitazioni concettuali che genera.

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