Ziaur Rahman (1997) è PhD student in Global Studies & Innovation presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), sotto la supervisione della Prof.ssa Stefania Cerrito. Suoi principali ambiti di studio e di ricerca sono la lingua e la (socio)linguistica francese. Il titolo del suo progetto di ricerca è  «South Asian communities in French-speaking contexts: the cases of Paris and Brussels». Da settembre 2024 a febbraio 2025 svolgerà una ricerca sul campo a Parigi presso il Centre d'études en sciences sociales sur les mondes africains, américains et asiatiques (CESSMA – Maison de la recherche de l’Inalco), sotto la supervisione della professoressa Marie-Caroline Saglio-Yatzimirsky. Tra l’altro, ha collaborato all’organizzazione della Journée de la Francophonie à l’UNINT negli ultimi due anni.

L’Italia ospita la più grande comunità bangladese dell’Unione europea e in Europa solo il Regno Unito ha un numero maggiore di bangladesi regolarmente residenti. Altri Paesi europei con un’importante presenza di tale comunità sono la Francia e la Spagna. Attualmente in Italia vivono regolarmente oltre 160 000 persone provenienti dal Bangladesh o aventi origine bangladese. Tra le diverse comunità immigrate nel Paese, si tratta della sesta collettività di cittadinanza non comunitaria più numerosa, con gli uomini che rappresentano circa il 70% del totale, mentre le donne il restante 30%. Un dato interessante riguarda i giovani e in particolare i minorenni che costituiscono il 20%. L’età media della popolazione considerata è di appena 30 anni. Quanto alla distribuzione geografica, la regione Lazio e la città di Roma vedono la presenza più concentrata di bangladesi in Italia (oltre 25%), seguono la Lombardia con circa 15% e il Veneto con poco più del 10%. La comunità in questione è terza per acquisizioni di cittadinanza e le persone in possesso di un permesso di soggiorno a lungo termine, i cosiddetti lungosoggiornanti, sono oltre 50%. Tra le motivazioni per il rilascio dei permessi di soggiorno a scadenza rientrano principalmente motivi familiari (più del 40%) e motivi lavorativi (più del 30%).

I primi flussi migratori numericamente rilevanti di persone d’origine bangladese verso l’Italia risalgono agli anni Novanta del secolo scorso. Tali flussi hanno visto come protagonisti principali due categorie di cittadini ben distinte: da una parte i giovani celibi, spesso con un buon livello d’istruzione e alla ricerca di un’opportunità per migliorare il proprio status attraverso un impiego, sebbene dequalificato in Italia; dall’altra parte uomini adulti, solitamente coniugati, intenzionati a sostenere le proprie famiglie in Bangladesh attraverso le rimesse di denaro. Nel corso degli anni Duemila, la presenza di cittadini bangladesi in Italia ha conosciuto un brusco incremento, vedendo sestuplicare gli arrivi nel ventennio 2002-2022, con un passaggio da 22 000 a oltre 150 000 persone regolarmente presenti. Il tasso di emigrazione dal Paese è senza dubbio tra i più elevati al mondo, a causa di diversi fattori cronici legati al contesto e ad aspetti di natura socioeconomica, politica e climatica.

Dal 1971, anno dell’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan, a oggi il Paese ha dovuto affrontare numerose e continue crisi politiche e climatiche. Risalgono proprio all’anno 2024 e al mese di agosto in particolare l’ultimo periodo di instabilità politica e le ultime inondazioni che hanno colpito il Paese. Secondo molti bangladesi, soprattutto le nuove generazioni, il primo di questi due eventi ha culminato in una vera e propria rinascita, se non addirittura in una nuova e seconda indipendenza del Paese, questa volta dal governo uscente dell’ex prima ministra Sheikh Hasina. Quanto alle inondazioni, le peggiori degli ultimi 34 anni, esse hanno colpito oltre cinque milioni di persone, travolgendo case, scuole e interi villaggi. Il clima è pertanto un fattore di criticità che va assumendo sempre maggiore rilievo nel Paese. Secondo i dati forniti dall’Internal Displacement Monitoring Centre nel 2020 il Bangladesh, con circa 4,5 milioni di persone costrette a lasciare la propria casa, è stato il terzo Paese al mondo per numero di nuovi sfollamenti a seguito di calamità naturali. Infatti, il Paese è perennemente soggetto a eventi climatici estremi, in particolare a causa di una spiccata vulnerabilità alle inondazioni. Queste ultime devastano periodicamente molte regioni del Paese in quanto un’ampia porzione del territorio è attraversata dal monsone estivo, insieme alle tempeste tropicali che vi si formano con altrettanta regolarità.

Nel passato recente, a peggiorare la situazione interna del Bangladesh è stata inoltre la pandemia di COVID-19 che ha limitato le attività economiche e vanificato alcuni dei risultati economici raggiunti nell’ultimo decennio. Infatti, nel 2020 il ritmo di riduzione della povertà è rallentato, le esportazioni sono diminuite, le disuguaglianze sociali sono aumentate e il tasso di povertà è cresciuto. Attualmente il Paese sta cercando di risollevarsi dalle conseguenze della crisi politica affidandosi al lavoro del governo ad interim guidato da Muhammad Yunus e della crisi climatica che ha colpito in particolare le regioni e i distretti orientali. Il contributo rappresentato dai forti afflussi di rimesse di denaro e il rimbalzo del mercato delle esportazioni, soprattutto dell’industria tessile, stanno aiutando l’economia a riprendersi gradualmente dal periodo dell’emergenza sanitaria a seguire. In questo contesto è opportuno sottolineare il ruolo centrale ricoperto dalle rimesse per l’economia del Paese, reso inequivocabile anche dal primato assunto in Italia, dove il Bangladesh risulta il primo Paese extra UE di destinazione dei flussi di denaro in uscita, coprendo il 15% del totale delle rimesse.

Rivolgendo invece uno sguardo alla fase più recente dei flussi migratori dal Bangladesh, emerge che essa è caratterizzata soprattutto dai cosiddetti flussi non programmati e dalla conseguente e sempre più frequente richiesta di protezione internazionale. Si tratterebbe prevalentemente di una “migrazione secondaria”, un fenomeno per cui i migranti – inclusi rifugiati o richiedenti asilo – si spostano per diverse ragioni dal primo Paese in cui sono arrivati dal proprio Paese d’origine per richiedere protezione o per insediarsi altrove in modo permanente. Per il Bangladesh il fenomeno descritto riguarda moltissimi giovani provenienti dalla Libia che avevano raggiunto tale Paese come “lavoratori temporaneamente presenti” e che si sono trovati in molti casi a sottostare a condizioni assimilabili alla schiavitù e di totale esclusione socioeconomica. Come spesso accade, quella che viene comunemente definita come “comunità bangladese” è dunque lungi dall’essere al suo interno una realtà omogenea. Essa raggruppa al contrario connazionali con background eterogenei, storie migratorie diverse, nonché progetti e prospettive nel Paese di arrivo altrettanto differenti.

Dal punto di vista della distribuzione geografica, come anticipato nel primo paragrafo, una nettissima concentrazione della comunità bangladese è rilevata nella Città metropolitana di Roma. La forte presenza di tale comunità interessa in particolare l’area centro orientale della Capitale, ribattezzata informalmente con il toponimo Banglatown a partire dall’inizio degli anni Duemila, ispirato alla nota strada Brick Lane dell’East End londinese, da cui prende anche nome il celebre romanzo omonimo pubblicato nel 2003 della scrittrice Monica Ali, nata a Dacca e naturalizzata britannica. Si tratta del suo esordio narrativo, nonché di un bestseller tradotto in tutto il mondo, la cui trasposizione cinematografica omonima di altrettanto successo risale al 2007. L’etnoterritorio bangladese di Roma corrisponde dunque alla zona del quartiere di Tor Pignattara – Marranella, contigua all’area del Pigneto. Il grado di concentrazione territoriale può essere collegato al fenomeno conosciuto come “catena migratoria”. Quest’ultima corrisponde alla naturale tendenza dei migranti a raggiungere i membri della famiglia o più in generale i connazionali che si sono già stabilizzati in un certo territorio del Paese di arrivo, costituendo così un interessante parametro della storicità del processo migratorio di lungo periodo.

Come accennato in precedenza, la comunità bangladese è caratterizzata da un marcato squilibrio di genere, un dato che la colloca in terza posizione tra le principali collettività extra comunitarie per la minor incidenza femminile subito dopo quella pakistana e quella senegalese. I protagonisti della migrazione dal Bangladesh sono prevalentemente giovani uomini, su cui si riversa l’investimento, sia economico sia emotivo, dei nuclei familiari del Paese d’origine. In considerazione dei problemi cronici del Paese, è questa la categoria demografica che lascia il Bangladesh con una finalità solitamente condivisa: mantenere la propria famiglia e offrirle una vita migliore. Negli ultimi anni, la comunità bangladese risulta però particolarmente coinvolta nel già citato fenomeno dei flussi non programmati e delle migrazioni forzate. A rendere evidente tale situazione è l’elevata quota di ingressi legati a motivi umanitari o ad altre forme di protezione. Infatti, la comunità bangladese è – insieme a quella ucraina e quella pakistana – tra le poche collettività a vedere prevalere la richiesta di una forma di protezione, risultando così il secondo Paese di provenienza di titolari di nuovi permessi legati a questo motivo, rilasciati nel corso del 2021. Seguono come motivazioni principali d’ingresso il ricongiungimento familiare e il lavoro.

La rotta migratoria che porta i richiedenti asilo bangladesi in Italia è tutt’altro che lineare. Una prima rotta è quella marittima del Nordafrica. I migranti bangladesi arrivano in primis nel Medio Oriente, in Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, a Dubai in particolare, o la Siria, dove si fermano per pochi giorni. Da qui si dirigono verso l’Egitto, prima di raggiungere una prima vera destinazione: la Libia. In quest’ultima essi soggiornano per periodi di durata breve o media, prima di intraprendere un nuovo viaggio o perché vittime della mafia locale o per deliberata scelta per un orizzonte di vita migliore. Sono numerose le storie degli orrori vissuti in quella che viene chiamata in gergo la “casa del game”. L’intento è probabilmente quello di esorcizzare un luogo in cui si subiscono torture per pagare il riscatto e dove si attende pazientemente prima di essere imbarcati alla volta di una nuova destinazione, attraversando il Mediterraneo. Una “casa” fortemente inospitale, definita quasi da tutti oscura, consistente in semplici stanze di dimensioni variabili dove sono radunate centinaia di persone di diversa provenienza e dove si sopravvive con un pezzo di pane giornaliero e con poca acqua.

Il mare separa queste persone da una nuova opportunità di rinascita, dall’inizio di una nuova vita. Il mare è però per molti di loro sinonimo di morte, dal momento che le traversate marittime sono estremamente pericolose, con frequenti naufragi e numerose vittime. Ci sono poi i sopravvissuti che dichiarano di aver visto quella morte con i propri occhi, ma sono riusciti a salvarsi e a raggiungere la meta, approdando solitamente a Lampedusa, in Sicilia o lungo le coste calabresi. Game, lungi dall’essere un gioco, è il termine che viene utilizzato dai migranti per indicare il tentativo di attraversamento di una frontiera per raggiungere il nuovo Paese di destinazione o per vie marittime o per quelle terrestri. Queste ultime riguardano invece la cosiddetta rotta balcanica che alcuni migranti bangladesi scelgono arrivando dapprima in Paesi come la Romania o la Croazia, spesso con un visto regolare per motivi lavorativi. Questa seconda rotta include attraversamenti di confini a piedi oppure nascosti in macchine o treni, cercando di sfuggire ai controlli delle autorità di frontiera.

Per motivi di varia natura, spesso collegati alle condizioni lavorative e al tipo di trattamento riservato da parte del datore di lavoro, i migranti bangladesi si vedono costretti a lasciare questo primo Paese di arrivo per raggiungere l’Italia attraversando molti dei Paesi dell’area balcanica. Una volta arrivati, indipendentemente dalla rotta migratoria, viene tendenzialmente formalizzata una richiesta di asilo presso la questura locale, in attesa di essere convocati alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale dove si tiene l’audizione e dove il richiedente ha la possibilità di raccontare la propria storia al funzionario, con l’ausilio di un interprete che agevola e garantisce la mediazione. L’iter di tale domanda ha le sue specificità in base al singolo caso e al singolo richiedente. Risulta pertinente in questo contesto menzionare la nozione di “dublinante”, vale a dire quel richiedente asilo che, dopo aver presentato domanda di protezione nel primo Stato in cui è stato identificato secondo le procedure del Regolamento Dublino II del 2003, si sposta e presenta una nuova richiesta di asilo in un altro Stato. Una volta individuato, la procedura prevede che il richiedente in questione venga indirizzato verso il Paese in cui è stato identificato per la prima volta.

A prescindere dal percorso migratorio e da come i bangladesi arrivano in Italia, a gravare sulle spalle dei neo arrivati è un debito ingente contratto per finanziare il viaggio e per raggiungere l’Europa dei sogni. Tale debito supera spesso le migliaia di euro e a moltiplicare le cifre è il tasso d’interesse imposto dall’ente creditizio o dal privato che può essere un parente, un compaesano o un usuraio. I destinatari di questa importante somma sono il più delle volte i trafficanti che “accompagnano” i migranti lungo il loro tragitto dal Bangladesh fino al Paese di destinazione. Per liberarsi dal peso schiacciante dei debiti quanto prima possibile, essi cercano e accettano il primo lavoro che viene loro proposto, molto spesso sottopagato e in un contesto preferibilmente comunitario. Vengono così saltate od omesse tutte le tappe che consentirebbero a queste persone un’integrazione sociale e amministrativa nel nuovo contesto di arrivo. Questo spiega in parte il carente livello linguistico e la scarsa conoscenza socioculturale del Paese ospitante da parte di molti bangladesi che vivono in Italia persino da diversi anni. La conoscenza dell’italiano è ai livelli minimi, se non addirittura pari a zero, in particolare tra le donne bangladesi che difficilmente frequentano contesti diversi da quello domestico, dove avrebbero potenzialmente la possibilità di imparare la lingua.

La popolazione bangladese in Italia è dunque costituita soprattutto da giovani e da nuclei familiari che sono in prevalenza monopersonali. Essi si procurano un posto letto in un alloggio da condividere con altri connazionali con cui si dividono le varie spese. La quota di persone oltre i 60 anni risulta invece decisamente esigua. Questo dato può essere spiegato da almeno due fattori: da una parte un modello migratorio che, come sottolineato, vede come protagonisti principali i giovani e dall’altra una storia migratoria piuttosto recente della comunità. Sono difatti ancora poco numerosi i migranti bangladesi arrivati da giovani e divenuti anziani in Italia, così come sono poche le persone che in età avanzata si sono ricongiunte alle proprie famiglie già stabilizzate nel territorio, salvo poche eccezioni. Quanto ai matrimoni misti, si tratta di un indicatore che pur riguardando la sfera privata, ha delle profonde implicazioni sia per la cultura d’origine sia per quella di accoglienza. Inoltre, rappresenta un passo importante verso una futura società multiculturale. La comunità bangladese è però coinvolta in misura davvero ridotta nel fenomeno in questione e l’esiguo numero di matrimoni misti sottolinea il prevalere dei legami con le famiglie nel Paese d’origine.

Sono numerosi i bangladesi che tornano in Bangladesh per sposarsi e per portare il coniuge in Italia in un secondo momento attraverso il ricongiungimento familiare. Quest’ultimo costituisce un importante parametro del grado d’integrazione del richiedente, evidenziando il consolidamento della sua presenza sul territorio. Al fine di ottenere il nulla osta per il coniuge o per eventuali figli nati in Bangladesh, il richiedente deve infatti dimostrare di aver raggiunto determinati standard d’integrazione sia economica sia alloggiativa, corrispondenti alla disponibilità di un reddito minimo e di un alloggio idoneo. Un altro importante indicatore d’integrazione sociale è rappresentato dall’acquisizione della cittadinanza. Per ottenere la cittadinanza per naturalizzazione bisogna risiedere legalmente per dieci anni continuativi sul territorio nazionale o tre anni a seguito di matrimonio con cittadino italiano, nonché possedere un determinato reddito. Nel caso della comunità bangladese, si registrano circa 5 000 acquisizioni di cittadinanza nel corso del 2021. Nella maggior parte dei casi l’acquisizione della cittadinanza è legata alla trasmissione della stessa dai genitori ai figli minorenni o al raggiungimento del diciottesimo anno qualora nati in Italia.

La scuola svolge un ruolo fondamentale nel processo d’inserimento e d’integrazione socioculturale non solo dei minori stranieri, ma anche delle loro famiglie che spesso iniziano a intessere relazioni sociali nella comunità in cui risiedono proprio attraverso le istituzioni scolastiche. In questo contesto va il merito al lavoro appassionato e degno di lode di molte associazioni e volontari che accompagnano gli studenti e le loro famiglie nel percorso scolastico attraverso corsi d’italiano e di potenziamento, sostegno per lo svolgimento dei compiti assegnati per casa e altre attività volte ad arricchire il bagaglio culturale di coloro che saranno il futuro dell’Italia. Se sono ormai diverse migliaia gli studenti bangladesi nelle scuole, è ancora piuttosto ridotta la presenza bangladese in ambito universitario, all’ordine di poche centinaia. Questi giovani italo-bangladesi sono portatori sani di una duplice identità, sinonimo di ricchezza inestimabile. Le diverse associazioni comunitarie perseguono finalità che mirano a salvaguardare l’identità bangladese attraverso la valorizzazione della cultura d’origine e l’organizzazione di iniziative che promuovono la lingua bengali o celebrano le festività nazionali e religiose.

Un ultimo sguardo è rivolto al mondo del lavoro che costituisce in molti casi il motore principale del progetto migratorio. Inoltre, il lavoro ricopre un ruolo fondamentale nel processo d’integrazione ed è al tempo stesso una risorsa privilegiata per poter risiedere legalmente in Itala. Il profilo prevalente tra gli occupati bangladesi è quello di lavoratori di genere maschile impiegati nel settore della ristorazione o in quello ricettivo e commerciale. La popolazione è caratterizzata da un ridottissimo inserimento della componente femminile nel mercato del lavoro. Esiste infatti un profondo divario tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile. Un forte protagonismo della comunità bangladese riguarda l’ambito imprenditoriale: sesta per numero di presenze in Italia tra i cittadini di Paesi non comunitari, risulta quarta per numero di titolari di imprese individuali. Molti negozi di prodotti alimentari, internet point e CAF sono gestiti da bangladesi. Nei CAF in particolare, oltre alla possibilità di sbrigare pratiche amministrative, ricevere tutela e assistenza legale, è possibile trasferire denaro verso il Paese d’origine. Simili esercizi sono in continua crescita e la clientela è prevalentemente comunitaria in considerazione delle agevolazioni legate ad esempio al fattore linguistico o al contesto che ha spesso sapore di “casa”.

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