Simone Fagioli (Pistoia 1967) è ricercatore libero professionista di formazione antropologica. Collabora con enti pubblici e privati per ricerche sui temi della nascita e sviluppo dell’industria (metallurgica, mineraria, cartaria, tessile, ceramica), analisi dei processi produttivi preindustriali e industriali, storia d’impresa privata, sociologia e antropologia del cibo, uso pubblico della memoria, nonché gestione di archivi d’impresa e privati. Su questi temi ha pubblicato articoli e monografie.
Recensione a
Adone nella morte di Giovanni Keats autore dell’Endimione, Iperione, &c. &c. &c. Elegia di Percy Bysshe Shelley tradotta da Lorenzo Antonio Damaso Pareto
Tipografia Pellas, Genova 1830, pp. 76, s.i.p.
Forse il Pareto aveva conosciuto il cugino o la vedova di Shelley; forse le vibrazioni della lirica shelleyana si erano ripercosse in lui per quel fenomeno di risonanza, che si avverte nel regno degli spiriti come nel regno della musica [1].
- A voler scrivere di un libro uscito nel 1830, per meglio approfondirlo, per entrare nel suo mondo ci sarebbe da sgombrare il campo da tutto ciò che è venuto dopo, ammesso che sia entrato tra i “classici”. Nel caso del libro del quale vado a scrivere abbiamo alcuni vantaggi: testo ed autori sono rimasti in gran parte cristallizzati nel loro tempo.
Autori, tre: Percy Bysshe Shelley, il poeta – del quale l’8 luglio 2022 ricorrevano i 200 anni dalla morte –, John Keats, al quale Shelley dedica il lavoro e Lorenzo Antonio Damaso Pareto, il traduttore. C’è un altro Damaso Pareto più noto, pur se pochi lo chiamavano così: Vilfredo Federico Damaso Pareto, il sociologo ed economista del quale Damaso senior era zio.
Cercando un’etichetta che descriva Shelley, Keats e Damaso quella di angry young men può essere utile: acuti osservatori stanchi delle convenzioni sociali, familiari e personali che provano a cambiare con spirito ribelle, gusti e idee della società.
Su Shelley e Keats gli studi non mancherebbero – pur in un affastellarsi di dati veri e vulgate legate molto a miti e leggende –, su Damaso ci dobbiamo accontentare di un saggio del 1925[2] e qualche breve cenno sparso.
- Nel 1830 esce a Genova, stampato dalla Tipografia Pellas, uno smilzo libro dal lungo titolo: Adone nella morte di Giovanni Keats autore dell’Endimione, Iperione, &c. &c. &c. Elegia di Percy Bysshe Shelley tradotta da Lorenzo Antonio Damaso Pareto.
L’inglese aveva scritto di getto a Pisa nel 1821 la poesia dedicata all’amico e poeta Keats, morto esule a Roma in quell’anno. Lo attendeva in Toscana, suo ospite e della moglie Mary che nel 1818 aveva pubblicato Frankenstein; or, The Modern Prometheus.
Nel 1830 Damaso era un giovane di belle speranze (nato a Genova nel 1801 vi muore, forse in manicomio, nel 1862) innamorato della letteratura. Sin dai primi studi nel Collegio Reale dei Padri Somaschi si dedica alla poesia, stimolato da Giacomo Lari, suo docente di letteratura greca e latina (al quale dedica Adone). Si appassiona agli inglesi, consacrandosi dal 1821 alla traduzione: Alexander Pope (del quale non pubblica niente), Thomas Campbell, Thomas Medwin (cugino di Shelley) e Percy. Leggenda vuole che prima di morire Damaso distruggesse tutte le traduzioni e gli stessi suoi scritti poetici.
Nel 1826 pubblica la sua opera prima: Ramosky. Esperimento di novella, poema in ottava rima, un po’ cavalleresco, un po’ Shelley, un po’ Byron. La critica non è unanime: la “Gazzetta di Genova” di sabato 2 giugno 1827 ne parla bene e in prima pagina, insieme alla traduzione di De’ piaceri della speranza di Campbell. L’anno successivo però un articolo sul “Giornale ligustico” di Genova non è tenero, evidenziando scarsa novità e poca capacità poetica-ritmica[3] e, in un’altra recensione del 1830, quasi lo invita a cambiare mestiere[4]. In Francia il poema, sempre recensito insieme a De’ piaceri[5], riceve qualche plauso. Le stroncature non impediranno a Francesco Domenico Guerrazzi di inserirlo nella sua Antologia romantica e classica (T. 10) pubblicata a Livorno nel 1830. Gli apprezzamenti non positivi spingono Damaso poi a pubblicare solo traduzioni.
Ramosky attira l’interesse di Giuseppe Mazzini, che lo vuole accanto a sé come innovatore culturale e Damaso partecipa all’esperienza de “L’Indicatore genovese. Foglio commerciale, d’avvisi, d’industria, e di varietà”, di breve durata (1827-1828) per le ire della censura.[6] Dopo “L’indicatore” fondano insieme un’associazione culturale, un salotto, ben presto abortito sempre per le ire poliziesche: il 13 novembre 1830 Mazzini è arrestato.
- Pareto affronta Shelley con impeto. Mai in Italia nessuno lo aveva tradotto: il poeta “di moda” era Lord Byron, nel 1824 morto a Missolungi richiamato dagli aneliti di libertà degli ellenici nella guerra contro l’Impero Ottomano. Shelley e soprattutto Keats erano malvisti dalla critica anglosassone, poco incline a un nuovo lirismo e in Italia, pur entrambi qui deceduti e sepolti, a Roma, quasi uno accanto all’altro nel cimitero acattolico, quasi ignoti.
L’Adone di Damaso Pareto non brilla della purezza del verso shelleyano ma è un valido esperimento “didattico”, una guida e un invito alla lettura del poeta.
Il Nostro prima della traduzione si addentra nella vita e nella poetica dell’inglese, mostrando, lo hanno notato i critici coevi, una significativa preparazione. Alla poesia, infatti, è premessa una lunga introduzione di 31 pagine, dal titolo Discorso sulla vita e sulle poesie di Percy Bishe Shelley – in Italia pare che nessuno sia in grado di scrivere nel modo giusto il secondo nome del poeta –. Certo, il romanticismo incombe e l’analisi risente della vita tragica ed errabonda del poeta: genio, carattere, sventure, illusioni tutto si mescola, con rimandi non ingenui a filosofi (Kant, Fichte, Bacone, Hume) e naturalisti (Priestley, Buffon), nel tentativo non ultimo di esplorare la “felicità pubblica”, tema che molti eruditi del Settecento, dall’illuminismo, avevano affrontato.[7]
- L’Adonais di Shelley ha sottotraccia una rabbia che Pareto stenta a cogliere, ben espressa nella nota che l’inglese pone prima del poema e che Damaso traduce con diligenza. Così come non è in grado di ipotizzare la complessa simbologia che sta dietro Adone, “il Signore”, appellativo del dio sumero Damuzi, dio della rinascita nelle culture di agricoltori-allevatori, visto addirittura come pescatore e dio bambino, in bilico tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Adone non è la bellezza: è la tragicità della bellezza, la collera della sua scomparsa, in un mondo rovesciato, visitabile solo con il sacrificio. E come non immaginare in Shelly Inanna, la sposa di Damuzi, nel sacrificio della sua morte di fronte a Viareggio?
La prima recensione di Adone è su la “Gazzetta Piemontese” di sabato 8 maggio 1830 (n. 55, p. 316), in forma anonima e senza titolo.
Il Shelley viene perciò annoverato fra i poeti che in questo secolo fiorirono più chiari in Inghilterra, e noi andiamo debitori al Marchese Damaso Pareto d’averci dato un primo saggio del modo di poetare di lui, e d’averne introdotta la famigliarità in Italia, mediante una nobile traduzione, nella quale, egli si mostra franco verseggiatore, ricco di lingua e di frasi poetiche, ed interprete libero, caldo ed animato.
A giugno la “Antologia” del Vieusseux presenta una recensione collettiva di Ramosky, i Piaceri e Adone, firmata L., Michele Leoni, letterato e primo traduttore in Italia di Shakespeare e Byron, e poi Schiller, Milton, Pope. Sul lavoro su Shelley esprime buoni giudizi. La Del Pin confonde le parole di Leoni per la traduzione di Campbell attribuendole a Shelley, un giudizio duro («Il fiore fresco e odoroso che ci presentava il poeta è divenuto scolorato e appassito fra le mani del traduttore»).[8] Leoni invece plaude all’altro lavoro e alla nota critica: «Ci è piaciuto il discorso che la precede [la traduzione] sulla vita e le poesie dell’autore, discorso in cui il sig. Pareto palesa un forte sentire e molta indipendenza e nobiltà di pensare»[9].
Cenni successivi storicizzano il lavoro di Damaso, che si trasforma in “curiosità” e la verità ben presto si palesa: «A questa propaganda shelleyana, che lasciava sperare il riconoscimento della sua grandezza, mancò la ripercussione fra noi: nessuno riprese il lavoro iniziato dal Pareto e si ricominciò a ignorare che Shelley fosse esistito»[10].
[1] B. Bini, La fortuna di Percy Bysshe Shelley e le idealità umanitarie nel risorgimento italiano 1822-1922, “Annuario del R. Liceo-Ginnasio Dante Alighieri in Fiume.” Anno scolastico 1925-1926, La Vedetta d’Italia, Fiume 1927, p. 22.
[2] A. Del Pin, Damaso Pareto. Un capitolo del romanticismo mazziniano, “Giornale storico e letterario della Liguria”, N.S., V. I, Fasc. 1, 1925, pp. 24-47.
[3] Ramosky, Esperimento di Novella di L.A.D.P., “Giornale Ligustico di Scienze, Lettere, ed Arti”, A. II, Fasc. IV, Luglio-Agosto 1828, p. 402.
[4] X, Ramosky, esperimento di Novella di Lorenzo Damaso Pareto – Torino, dalla Stamperia Reale, 1826, “Il Poligrafo. Giornale di scienze lettere ed arti”, V. I, Luglio 1830, p. 164.
[5] Ramosky, esperimento di novelle, etc. – Ramosky, essai de nouvelles, par L. A. Damaso Pareto. Turin 1826. De’ piaceri della speranza, poemetto inglese, etc. – Les plaisir de l’espérance, petit poeme anglais de Thomas Campbell, traduit en vers italiens par L. A. Damaso Pareto, Génes (sans date); Pagano. In 8°, “Revue encyclopédique, ou analyse raisonnée des productions les plus remarquables dans la littérature, les science et les arts”, Septembre 1828, p. 684.
[6] A. Neri, La soppressione dell’Indicatore Genovese, Bocca, Torino 1910.
[7] S. Fagioli, Per servire all’umana felicità, in Antonio Matani, Della conservazione dei vini (1765), a cura di S. Fagioli, Effigi, Arcidosso 2021, pp. 9-22.
[8] A. Del Pin, Damaso Pareto, cit. p. 35.
[9] L., Ramosky Esperimento di Novella di Lorenzo Antonio Damaso Pareto. Torino, Tipografia Reale. Dei Piaceri della Speranza, poemetto inglese di Tommaso Campbell recato in verso italiano da L. A. D. Pareto. Genova, Frat. Pagano. Adone nella morte di Gio. Keats autore dell’Endimione, Iperione ec. Elegia di Percy Bishe Shelley tradotta da L. A. Damaso Pareto. Genova, dalla Tipografia Pellas 1830, “Antologia”, n. 144, giugno 1830, p. 125.
[10] M. L. Giartosio De Courten, Shelley e l’Italia, Treves, Milano 1923, p. 143.