Ivo Stefano Germano è docente di Media digitali e Strategie della comunicazione politica e istituzionale presso l'Università del Molise. È autore di numerosi saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: #Quartierinogauchecaviar. Sneackers rosse eppur bisogna andar, Pendragon, Bologna 2018; Aside Story. La fatica delle vacanze (con S. Borgatti), goWare, Firenze 2017; New Gold Dream. E altre storie degli anni Ottanta (con D. Masotti), Pendragon, Bologna 2013.
Nel torpore generale s’avanza il collaudassimo “comportamentismo festivaliero”, mix dozzinale di habitus e status, a tema finto scandalo e, come si confà dal 2013 in poi, indignazione social.
Tutti, ma proprio tutti, in presa diretta, oppure, davanti al primo caffè a prendere la rincorsa, sbracciando, mulinando post, tag, meme, reel, tutti, nessuno escluso a scandalizzarsi per l’“agghiacciante siparietto” di John Travolta con Amadeus e Fiorello per il “ballo del qua, qua” culminato nel gran rifiuto verso il becco da papera che avrebbe dovuto mettersi in testa. A suo modo, atto unico, se ed in quanto sia stata firmata una liberatoria per una pronta, prontissima damnatio memoriae.
Roba da uffici legali e morte istantanea di “ogni fantasia dei popoli”. A grattare sotto la superficie kitsch dell’esibizione, prima, vi era già stato un triste presagio nella jam session di “Romagna mia”. Imagologia del ponte intergenerazionale, come via maestra del Festival numero 74. Racchiusa in un gesto inequivocabile del figlio di Amadeus che fotografa il padre sul palco con uno scazzatissimo John Travolta. Laddove avrebbe dovuto esserci Sinner. Vabbè. Sia messo agli atti, mentre le classifiche vanno consolidandosi.
P.S. Probabile che stasera ci si debba pappare un “mi chiamo Amadeus Decimo Meridio”. Vedremo.