Marcosebastiano Patanè (1994) è studente del Corso Magistrale in Scienze Filosofiche dell'Università di Catania, dopo aver conseguito la laurea triennale in Filosofia con una tesi sul concetto di «Natura» in M. Merleau-Ponty. Ha scritto su diverse riviste: «Gente di Fotografia», «IlPequod», «Vita Pensata», «Dialoghi Mediterranei». Attualmente lavora ad un progetto di tesi che verte sul rapporto tra la fenomenologia di Merleau-Ponty, la mitologia e la letteratura. Fa parte del Direttivo dell’Associazione degli studenti di filosofia Unict (Asfu).

Recensione a: E. Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza, Mimesis Edizioni, Milano 2022, Pagine 142, € 10,00.

Contro Metaverso. Salvare la presenza di Mazzarella consta di un’unica, agile, analisi filosofica svolta in sette sezioni che affronta la questione della presenza e della sua crisi di fronte al fenomeno del Metaverso, un’analisi che di tale crisi mette in rilievo i caratteri antropologici, politici, psicologici, sociali tout-court, nonché morali, economici e storici. Si tratta di un’analisi che individua anche una prassi di opposizione alle complesse, stratificate e ramificate tecnologie digitali che del Metaverso sono il cuore pulsante, una prassi spendibile da chiunque voglia applicarla, da chiunque voglia tutelare la presenza e la sua dinamica biologica, psicologica, sociologica e storica.

La crisi della presenza è la crisi dell’uomo in quanto essere bio-sociale, ente corpomentale, essere che si dispiega come corporeità semantica che nasce in una comunità storica, un ente psicosomatico consapevole di sé in costante relazione con i suoi simili, gli altri corpi, le altre semantiche, nella tessitura ermeneutica della propria vita, cioè nella rete della propria temporalità, nella rete della propria differenza rispetto agli altri e all’Intero di cui è parte.

Con il fenomeno del Metaverso emerge una questione epocale, «la grande dismissione del reale nel virtuale, questa è la posta in gioco dell’infosfera, la nuova parola-mondo con cui una filosofia troppo integrata al suo tempo, troppo poco inattuale, descrive e promuove oggi questa deriva dell’ antropologia della tecnica» (p. 29). «La grande dismissione» è la tappa ultima e radicale di un processo di crisi e di trasformazione ontologica che viene innescato insieme all’atto di nascita della modernità, cioè con la rivoluzione copernicana e la matematizzazione galileiana; un processo che vede nell’evoluzionismo darwiniano e nell’inconscio freudiano una seconda fase fondamentale e che nel XX secolo conosce un ulteriore approfondimento con la scoperta dell’energia atomica e la fondazione delle tecnologie di manipolazione genetica, per culminare, infine, con il farsi avatar dell’uomo, processo che Mazzarella definisce «avatarsi» (p. 38).

«Avatarsi» non sarebbe altro che la migrazione e conseguente traduzione dell’esserci e dell’essere al mondo dell’uomo nel digitale, a partire dalla modificazione della «struttura percettiva, psicofisica» (p. 20) dell’esperienza fino al potenziamento dell’architettura cognitiva e della struttura biologica in generale dell’uomo. Quest’ultima trasformazione, in particolare, risponderebbe anche alla necessità di colmare il vuoto lasciato dalla più recente perdita di centralità del sé, e cioè la perdita del primato delle proprie facoltà di calcolo. L’uomo non può pretendere di tenere il passo con tutta la mole di informazioni dell’«infosfera» con le proprie capacità non potenziate, né il reale stesso può tenere il passo con la realtà aumentata, l’ambiente tradotto in «“megamacchina”» (p. 22) digitale a confronto con «la carne sempre più disabile del “reale”» (p. 40). La riscrittura digitale del reale

sta ri-ontologizzando, scrivendolo in proprio, in senso attivo, in algoritmo, il già galileiano libro della natura scritto in caratteri matematici. Libro ora però non più scritto per noi ma “non” da noi, ma scritto da noi fino a immaginare di poterlo sovrascrivere e persino riscriverlo ex novo, cancellando nelle entità le scritture precedenti (in definitiva, come orizzonte di possibilità, scritto da noi ma “non” per noi, bensì per un “altro” noi, diverso da quello che si sovrascrive, lui stesso, nella sua stessa psico-bio-sociologia) (p. 41).

La carne del mondo, dell’uomo stesso e del suo spirito, uno spirito incarnato, subiscono il contraccolpo di un cortocircuito della facoltà naturale dell’uomo di portarsi fuori di sé, di trascendersi, nel momento in cui tale capacità ritornando su se stessa, cioè nella propria carne, misconosce le proprie origini e reinterpreta la propria carne, il proprio être-au-monde, e il proprio ambiente, naturale e culturale insieme, come dei costrutti infinitamente manipolabili. «La “quarta rivoluzione” dell’infosfera è un passaggio epocale nella storia dell’alienazione intrinseca all’umano nel rapporto con i suoi mezzi, con l’ambiente – che lo con-costituiscedella sua strumentalità» (p. 60).

Ciò che una tale rivoluzione sembra provocare è una vera e propria «eutanasia digitale dell’uomo conosciuto» (p. 76), un’azione condotta non ai fini di una sua evoluzione, senza voler indicare con questo termine alcun giudizio di valore, ma un’eutanasia che sostituisce all’uomo fin qui conosciuto un uomo ridotto, un manipulandum, emerso dalla crisi della presenza come un essere ridotto a una «relazionalità di pura ragione, magari produttiva» (p. 64), una comunità di «inforg nell’infosfera» (p. 69).

Si può forse dire che l’uomo si sia davvero convinto di essere quel manipulandum che crede di essere, rispondendo così all’analisi di Merleau-Ponty riportata nella sua ultima opera pubblicata in vita, L’occhio e lo spirito, e forse da quest’incubo non c’è davvero alcun risveglio, se non il risveglio, traumatico a dir poco, di un blackout che dovesse colpire le centrali dell’onlife. Un evento del genere getterebbe certamente nel caos i paesi che più si saranno integrati con le tecnologie della ri-ontologizzazione digitale, ICT e AI, e con il Metaverso, e altrettanto certamente non servirebbe a riportare indietro le lancette della metamorfosi dell’uomo incarnato ormai in abitatore digitalizzato di una mixed reality. Tale uomo nell’analisi di Mazzarella corrisponderebbe a un ultimo uomo trasformatosi in superuomo dell’onlife, un tradimento della terra sulla terra[1], una nuova fede sovraterrena ma questa volta accompagnata all’illusione che essa possa essere attuata qui, sulla terra appunto, da un bagno nelle acque del digitale, un «fiat neon» (p. 27) della genesi del nuovo mondo.

Salvare la presenza significa salvare l’integrità dello spirito incarnato come integrità animale, salvare dunque la corporeità, prima di tutto, e la dinamica del venire a sé della presenza così come essa è andata sviluppandosi storicamente. La storia stessa, naturalmente, è interessata dalla metamorfosi del reale, la storia diviene iperstoria, cioè un presente assoluto in cui non avviene alcuna presa di coscienza del passato, in cui la dinamica stessa degli enti, degli eventi e dei processi nella loro struttura temporale di manifestatività viene meno. Il cuscinetto del presente in cui fare l’ermeneutica della propria temporalità storica viene annullato nella «necessità di svuotare le sue cache e aggiornare i suoi cookiescache e cookies della memoria digitale, cioè della sua iperdocumentalità dell’iperstoria depositata in rete – e pertanto “salva questo documento” di default» (p. 41) e cioè la storia risolta in una dimensione sommamente astorica che si limita all’aggiornamento testuale istantaneo di documenti in rete.

«Che fare per evitarci questo futuro digitale, inforganico, che ci aspetta fuori dalla presenza conosciuta come carne del mondo abitata dalla nostra corporeità?» (p. 95), un futuro cioè non più caratterizzato dalla quotidianità carnale dello spirito, ma un futuro dislocato, «la dislocazione anatomica di un viscere o di un tessuto dalla sua sede normale, la dislocazione nel virtuale della nostra organicità come tale» (ibidem). Lo scenario distopico, allucinato, «tra l’onirico e il minaccioso» (p. 75) di una tale futuro è quello di un grande fratello che governa non più entità umane ma costrutti informazionali, flussi di dati, un grande fratello che, più che governare, regolerebbe e programmerebbe un uomo come «ITente di massa» (p. 72) che coincide con un l’algoritmo che è ormai divenuto non solo predittivo ma prescrittivo. Alle tecnologie del metaverso l’uomo sembra voler cedere la costruzione del proprio sé, la propria stessa corporeità e il suo ambiente, ormai non più realtà ma mixed reality e augmented reality.

Grazie alle tecnologie di realtà mista e realtà aumentata e alla corrispondenza tra stimoli virtuali e stimoli fisici, grazie cioè allo straripare della realtà digitale nella realtà carnale, è stato osservato come il soggetto abitante del Metaverso sia effettivamente presente nei gangli della realtà digitale, nei suoi luoghi, vista l’attivazione dei neuroni Gps responsabili dell’orientamento nello spazio, neuroni fondamentali per la costruzione della memoria autobiografica e quindi per la costruzione dell’identità del soggetto (pp. 128-135).

Per opporsi al riduzionismo ontologico del digitale e alle sue ricadute antropologiche Mazzarella discute due modalità di intervento. La prima modalità è caratterizzata da un intervento di carattere veritativo, cioè un’operazione di pulizia lessicale che interessa prima di tutto la definizione di intelligenza artificiale, una definizione del tutto fallace nella misura in cui stabilisce che una mera facoltà di calcolo (ciò che in realtà l’intelligenza artificiale è, una facoltà di computazione automatizzata) sia capace di intus-legersi, sia capace cioè di interiorità, di intenzionalità per sé e di capacità morale.

Gli esperti del settore, spiega Mazzarella, sanno perfettamente che la soglia semantica tra macchina e uomo si è dimostrata una soglia invalicabile, nonostante i ripetuti tentativi di attraversamento, motivo per cui nel caso dell’AI si può parlare di una vera e propria «truffa dell’“intelligenza” artificiale» (p. 95) che non esce, e non uscirà, dalla scena pubblica in quanto essa rappresenta il «più potente mezzo ideologico di colonizzazione digitale dell’immaginario sociale, e tira quindi la volata all’implementazione digitale della realtà, alla sua evoluzione in infosfera» (pp. 105-106).

La seconda modalità di intervento è quella del metodo di regolamentazione delle nuove tecnologie by undesign. Se infatti l’obiettivo è di non fare della carne dell’uomo un ingranaggio svuotato e riprogrammato di tecnologie dall’uomo stesso create, allora «si tratta […] di tenere tecnica e digitale socialmente operabili da noi […] da noi come siamo e non dall’uomo aumentato progettato per la realtà aumentata dell’era digitale in un enhancement di massa» (p. 96), allora sembra necessario semplicemente non applicare e cancellare una volta che siano state elaborate determinate tecnologie e cioè non cadere in quella «fallacia artificialista»[2] che impone ciò che si deve fare deducendolo da ciò che si può fare, fallacia che ben riassume l’essenza del pensiero ultra-artificialista contemporaneo.

Salvare dunque la propria carne, la carne dell’uomo, la sua storia, salvare la possibilità dello sviluppo di un pensiero non appaltato al potere del calcolo automatizzato, salvare il processo di formazione della propria identità da un mondo di predizioni esternalizzate rispetto al proprio corpomente, non dislocata in una seconda patria ma tenuta nell’incarnazione della propria corporeità e inserita in una comunità storica, salvare anche la possibilità di formazione di una coscienza storica, una coscienza del proprio passato e della tensione verso il futuro, con tutti i pericoli e le incertezze connesse.

Salvare l’esserci e l’être-au-monde storici dunque, prima che l’uomo di un prossimo futuro possa scoprire che rispetto alla presenza carnale la «dislocazione» digitale risulti per se stesso estranea oltre ogni sopportazione, prima che l’uomo del futuro possa scoprire che il mondo del Metaverso più che una risposta alle sofferenze dello stare al mondo e una risposta alla responsabilità sentita nel profondo della costruzione della propria identità, sia invece un mondo ostile e refrattario alle esigenze della presenza carnale.

NOTE

[1] Tale analisi è stata esposta da Mazzarella in occasione di una lezione dal titolo Nietzsche/Metaverso, tenuta al Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania il 19/04/2023

[2] E. Mazzarella, Luomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo, Quodlibet, Macerata 2017, p. 11.

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