Lorenzo Galligani (1988) si è laureato in Giurisprudenza all'Università di Firenze con una tesi in Diritto pubblico avanzato.
Recensione a
L. Ricolfi, La Società signorile di massa
La nave di Teseo, Milano 2019, pp. 272, €18,00.
Chi di voi ha avuto il piacere di vedere il grande Maestro Totò nel capolavoro Miseria e Nobiltà (regia di Mario Mattoli, film del 1954), trasposizione cinematografica della maschera teatrale canonizzata da Eduardo Scarpetta, si ricorderà di Felice Sciosciammocca, scrivano squattrinato sempre in affanno per mettere insieme il pranzo con la cena, e di Gaetano Semmolone, cuoco arricchito per aver ereditato la fortuna dell’ex-padrone ed entusiasta della possibilità di far sposare la bella figlia Gemma al Marchesino Favetti per irrorare la propria stirpe con sangue blu.
L’opera, nella sua geniale semplicità, ci forniva un quadro sociologico scherzoso ma interessante dell’Italia di fine Ottocento e delle sue classi sociali: c’erano le classi servili e precarie, impersonate da Sciosciammocca, una proto-classe media, rampante ed intraprendente, cristallizzata dal cuoco Semmolone, e poi una classe signorile in senso classico, rappresentata dal Marchese.
Cosa è cambiato negli ultimi centotrenta anni nel nostro paese? Luca Ricolfi ci guida in un Grand Tour d’Italie nel suo nuovo libro, La Società signorile di massa, dipanando una giungla di dati ed indicatori sino a scandagliare l’animo stesso della “mentalità signorile”: in filigrana si scorge il grande incontro scontro generazionale tra i cosiddetti boomers ed i loro figli millenials.
Il professore individua in primo luogo una nuova categoria sociologica nella società signorile di massa: una società opulenta dove la maggior parte dei cittadini non lavora e l’economia ristagna. L’opulenza Ricolfi la desume, tra gli altri indicatori, dalle tipologie dei consumi: «non l’auto ma la seconda auto, non la casa ma la seconda casa possibilmente al mare od in montagna, non la bici o il pallone ma le costose attrezzature da sub o da sci, non le solite vacanze di Agosto presso i parenti ma week end lunghi e ripetuti». Si tratta, in sintesi, di una situazione per la quale «nella popolazione nativa il surplus, ossia il consumo che eccede i bisogni essenziali, supera il triplo del livello di sussistenza».
Per quanto riguarda la quota di cittadini attivi il dato è desolante: soltanto il 43,3 dei cittadini italiani lavora mentre tra gli stranieri residenti il dato sale al 59,8. Un dato ulteriormente interessante è che i consumi opulenti sopra descritti sono accessibili ad una forte maggioranza della popolazione, indipendentemente dal fatto che produca o meno reddito. L’ultimo dato da segnalare è rappresentato dalla stagnazione economica: Ricolfi cita Levi-Strauss e la sua teoria della società calda in continuo ribollire economico-sociale sostenendo, a contrariis, che la nostra sia divenuta società fredda e lo interpola con l’economista americano Lester Thurow per arrivare alla definizione di società fredda a somma zero dove i progressi di ego sono gli arretramenti di alter.
I tre prerequisiti sono dunque opulenza, lavoro sulle spalle di una minoranza e stagnazione economica, ma quali sono i pilastri della società signorile di massa? Ricchezza accumulata, distruzione del sistema scolastico e infrastruttura para-schiavile.
Dal punto di vista della ricchezza accumulata il Grand Tour del Professor Ricolfi ci guida attraverso gli anni del boom economico, quando furono gettate, anche tramite risparmio e laboriosità, le basi dell’opulenza attuale, fino alla fine della lunga crisi degli anni Duemila, osservando che in rapporto al reddito disponibile, ancora oggi in Europa c’è solo un fazzoletto di terra più patrimonializzato dell’Italia, quello che riunisce Olanda Belgio e Danimarca.
Sulla distruzione della scuola l’autore, da accademico, si sente in prima linea e sostiene prima che la produttività dell’istruzione, che inquadra in modo sintetico ma accurato, si sia come minimo dimezzata nel corso degli ultimi quarant’anni, per poi concludere, sconsolatamente, con una nota personale: «se pretendessi dai miei studenti quello che i miei docenti pretendevano da me oppure solo quello che pretendevo venticinque anni fa non riuscirei a promuoverne più di uno su dieci».
Su questo fronte Ricolfi non è solo: già Paola Mastrocola, ex multis, nel suo Togliamo il disturbo: saggio sulla libertà di non studiare (Guanda, 2011) sosteneva, un po’ paternalisticamente, che «i ragazzi di oggi sono di una povertà lessicale sconcertante: possiedono poche parole per dire quel che vogliono dire; quando leggono, ne “saltano” moltissime perché non ne conoscono il significato; infine, usano impropriamente alcuni termini credendo che vogliano dire una certa cosa mentre ne vogliono dire tutta un’altra. Avere un lessico ristretto e improprio significa perdere l’aggancio con la realtà, non riuscire a tradurla in linguaggio, non esprimere i propri pensieri e non capire quelli dell’altro. Disabitudine al pensiero, alla riflessione, allo stare (fermi) su un concetto […]. Si tratta della mente, non della grammatica: di un vuoto strutturale, quindi (quindi!) grammaticale, linguistico». Pareri preoccupanti, soprattutto perché provenienti da insegnanti (Paola Mastrocola liceale, Ricolfi accademico, peraltro coniugi di lunga data), ufficiali in comando sul fronte della battaglia per l’istruzione, per chiudere il lusus della metafora bellica.
Per quanto riguarda l’infrastruttura para-schiavistica i dati ricostruiti ed interpretati dal Professore sono impietosi: circa un occupato su sette si trova in condizione para-schiavile, ovvero collocato in ruoli servili o di iper-sfruttamento, spesso aggravata, nel caso degli immigrati, che rappresentano una parte molto consistente del segmento, dall’impossibilità di esercitare il diritto di voto. L’analisi, amara, illumina l’ipocrisia di una nazione in cui l’importazione di manodopera schiavile tramite l’immigrazione clandestina spesso si ammanta di ingenua o direttamente insincera filantropia: dove l’offerta di una prospettiva migliore si infrange contro la durezza infame del caporalato o contro gli head-hunters del crimine organizzato.
Oltre la definizione sociologica della nuova categoria della “società signorile di massa”, però, il libro si lancia, seguendo gli interessi e gli studi dell’autore che è anche apprezzato psicòmetra, in una analisi della mente del signore contemporaneo e del giovin signore, intuendo che nelle società iper-individualiste la mente del singolo nelle sue dinamiche associative riveste grande importanza dal punto di vista sociologico. Le dinamiche intra-familiari rivestono grandissima importanza, permettendo ad una parte, considerevolissima, come visto, della popolazione, di non lavorare: è il caso, tra gli altri, del giovin signore.
L’autore cerca di mantenersi in una posizione di terzietà nella valutazione e nell’analisi delle scelte del giovin signore, generalmente figlio e nipote NEET di produttori di ricchezza che si mantiene a tempo indeterminato nella condizione di non creare reddito pur usufruendo di consumi opulenti, da una parte perché non ne ha bisogno, dall’altra perché la condizione di società fredda a somma zero non gli permette di raggiungere gli obbiettivi che la sua auto-rappresentazione irrealistica gli figurerebbero come satisfattivi.
Ricolfi, conscio del suo punto di vista boomer, si cala nella mentalità millennial (gruppo sociale cui appartiene anche chi scrive, ndr.) appoggiandosi su di un altro interessante e recente saggio, Teoria della classe disagiata (minimum fax, 2017) di Raffaele Alberto Ventura: sullo sfondo un incontro/scontro tra generazioni tra loro connesse da legami di interdipendenza inediti le cui conseguenze rappresentano e rappresenteranno nei prossimi anni argomento di studi sempre più accurati. Il Grand Tour di Ricolfi, successo editoriale senza dubbio interessante e divulgativo, ha vivacizzato il dibattito culturale incontrando reazioni positive per lo più, ma anche qualche stroncatura: Alessandro Guerani, dalle pagine del “Sole24ore” (Vicolo Corto), spara a palle incatenate mettendo in dubbio non solo la serietà dell’interpretazione dei dati offerta dall’Autore, ma anche l’intero impianto che non esita a definire ideologico, sostenendo ironicamente (e sprezzantemente) di «fare veramente fatica ad opporre una critica organizzata allo scritto di Ricolfi che passa da dati statistici ed economici, spesso citati un po’ a casaccio, a analisi storiche un po’ campate in aria, a sermoni antisuntuari quasi nello stile di San Bernardino di Siena».
Una guerrilla critic aspra, senza dubbio, ma che non fa che aumentare l’hype intorno ad un’opera che vale senza dubbio la pena di inserire nella lista dei desideri dei nostri opulenti consumi quanto meno per la luce rinnovata con la quale individua ed affronta i temi più importanti degli ultimi anni.