Ivo Stefano Germano è docente di Media digitali e Strategie della comunicazione politica e istituzionale presso l'Università degli Studi del Molise. È autore di numerosi saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: Barbie. Il fascino irresistibile di una bambola leggendaria (2003); La società sportiva. Significati e pratiche della sociologia sportiva(2012); New Gold Dream. E altre storie degli anni Ottanta (con Danilo Masotti, 2013); Aside Story. La fatica delle vacanze (con Sabina Borgatti, 2017); Sociologie del mutamento(et al.; 2017); #Quartierinogauchecaviar. Sneackers rosse eppur bisogna andar (2018); Sociologie. Teorie, strutture, processi (con Michela Felicetti, 2021).
Preambolo: “Tra il più cieco amore e la più stupida pazienza”.
Regole della casa: giudizi affrettati, disimpegno ed estemporaneità. Non è un festival, ma il Congresso di Vienna di tutte le edizioni degli anni 10 del XXI secolo. Lo status quo festivaliero è immediatamente ristabilito dal completo di velluto di Carlo Conti, prezioso omaggio a Corrado Mantoni e alle sue Domenica in. Sul palco, inattesa, quasi mirabolante, la piccola scheggia del pentapartito che resse la Prima Repubblica con la presenza di un ragazzo socialista come Gerry Scotti, elegantissimo assieme al doroteo Carlo Conti. Antonella Clerici a testimoniare il passaggio ancora irrisolto dalla Prima alla Seconda Repubblica. Una prima serata canonica, svelta, di buona lena. Senza disturbare, scuotere, pretendere impegni che non si possono affrontare. L’unico rischio di pippone lo si è corso, appena, appena con le percussioni e l’abito dorato di Lorenzo Jovanotti. Ma è stata pura impressione. La prima serata doveva ristabilire canoni, parametri, ordine, cuore e amore. Scaltramente in “quota ZTL” e ceto medio riflessivo con i cuoricini dei Coma-Cose (ah signora mia l’art pompier) e Lucio Corsi, cioè un giovane Renato Zero, più Gianni Togni, Peter Gabriel nei Genesis e Alberto Fortis. I giovani perché giovani, gli altri dalle molte volte al Festival, da Ranieri a Marcella Bella, in quota “dialogo intergenerazionale”. Elodie ha dovuto cantare e basta. Achille Lauro ha fatto Rodolfo Valentino. Tony Effe ha reso omaggio a Franco Califano coprendosi, per rispetto, i tatuaggi. In platea la densità di plateau è decisamente calata, mentre, nei loggionisti si sono notati completi da raduno della Coldiretti e/o di altre associazioni di categoria. Probabile che spuntino vasi di geranio e panni stesi. Ognuno si farà un’idea di chi vincerà e di chi arriverà ultimo: antipodi essenziali di ogni Sanremo.
Memento: la seconda serata è diversa dalla prima. A domani. Ciao.