Marco Ghisetti (1992) è attualmente dottorando in Scienze sociali presso l’Università della Lapponia e ricercatore ospite presso il Centro Artico di Rovaniemi (Finlandia), è laureato in politica nel mondo e relazioni internazionali e in filosofia. Ha lavorato e studiato in Europa, Russia ed Australia. È fondatore e direttore della collana accademica “Classici della Geopolitica” presso le Anteo Edizioni. I suoi principali interessi di ricerca includono la geopolitica dell’Artico, il pensiero e la storia della geopolitica e la geopolitica nordamericana. Ha scritto numerosi saggi, tra cui: Talassocrazia. I fondamenti della geopolitica anglo-statunitense (2021). Ha altresì curato i seguenti volumi: G. Diesen, L’Europa, penisola occidentale della Grande Eurasia. Regioni geoeconomiche nel mondo multipolare (2023); K. Haushofer, Il blocco continentale. Mitteleuropa - Eurasia - Giappone (2023); A.T. Mahan, Lezioni della guerra ispano-americana. E altri scritti (postfaz. di F. Zampieri; 2024).

Recensione a: Aldo Ferrari, Russia. Storia di un impero eurasiatico, Mondadori, Milano 2024, pp. 372, € 23,00.

Il libro Russia. Storia di un impero eurasiatico (Ferrari, 2024) di Aldo Ferrari – docente di Storia dell’Eurasia alla Ca’ Foscari e tra i più autorevoli specialisti italiani di Russia, Caucaso e Asia centrale – rappresenta un contributo importante per comprendere la vicenda storica russa non come una semplice successione di eventi politici o dinastici, ma come il prodotto di una costante dialettica tra spazio geografico, identità imperiale e pressioni esterne, in un quadro che trascende la tradizionale dicotomia tra Europa e Asia per abbracciare invece la complessità del territorio nord-eurasiatico.

La tesi centrale del volume è che la storia della Russia vada affrontata “in primo luogo a partire dalla sua collocazione all’interno dell’Eurasia settentrionale”, spazio dominato da popolazioni nomadi fino a che, a partire dal XVI secolo, non fu organizzato ed unificato dalla Russia quale “impero stanziale”. A questa collocazione spaziale vanno inoltre aggiunti i due aspetti decisivi della “dimensione imperiale” dello Stato russo ed il suo carattere, sin dagli albori, “ampiamente multietnico”, che hanno storicamente conferito alla Russia una sua propria e singolare alterità, identitaria ma anche statuale, rispetto alle altre potenze stanziali europee ed asiatiche: un’entità statuale sui generis, plasmata dalla sua collocazione al centro dell’Eurasia settentrionale ed estendentesi su un territorio immenso e in gran parte inospitale, privo di confini naturali definiti, lontano dai mari e dalle rotte commerciali globali. L’aggregazione attorno al perno russo di questo territorio e delle popolazioni ivi abitanti, diede vita ad un impero stanziale multietnico che ha incorporato una moltitudine di popoli diversi, dai finnici del Baltico ai tatari del Volga, dai cosacchi del Don alle tribù turcofone della Siberia, dagli armeni del Caucaso agli uzbeki dell’Asia centrale. La primarietà del fattore spaziale nella costruzione dell’entità statuale russa spinge Ferrari a sostenere che la Russia non conobbe una “mistica del sangue”, come invece avvenne per alcuni Paesi europei, quanto piuttosto una “mistica dello spazio” (si veda anche, dello stesso Autore, La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, edito da Mimesis nel 2012). A questa caratteristica identitaria ed al costante tentativo di unificare ed organizzare il proprio vasto e sfaccettato territorio e le numerose sue popolazioni, si aggiungono inoltre l’altrettanto costante ed a tratti tantalico tentativo di ottenere l’agognato sbocco sui mari caldi.

Ferrari disamina il modo in cui queste peculiari caratteristiche spaziali ne hanno condizionato ogni fase dello sviluppo storico, dalla formazione del principato di Kiev all’ascesa di Mosca, dall’espansione sotto gli zar alla crisi sovietica, fino alla Russia putiniana: la necessità di difendere gli ampi confini pianeggianti da minacce esterne (dai mongoli ai polacchi, dagli svedesi ai turchi ottomani) ha spinto la Russia a una crescita territoriale spesso presentata come “difensiva”, mentre la gestione di un mosaico etnico e religioso senza paralleli in Europa ha forgiato un sistema di governo al tempo stesso centralizzato e flessibile, capace di alternare repressione e assimilazione, violenza e pragmatismo, in un equilibrio che, nonostante la persistente instabilità, è sopravvissuto fino ad oggi.

Anche il periodo sovietico viene interpretato nella monografia non già come una rottura radicale con il passato imperiale, ma come una sua rielaborazione in forme ideologiche nuove: l’URSS, infatti, nonostante la retorica internazionalista e anti-imperiale, ereditò e ampliò la tradizione multietnica zarista, sostituendo al nazionalismo ortodosso il mito dell’amicizia tra i popoli e al servizio dello zar quello del Partito Comunista, ma mantenendo intatta la funzione unificatrice di Mosca su uno spazio che, pur trasformato nella sua struttura economica e sociale, rimase sostanzialmente identico a quello dell’impero dei Romanov, con l’aggiunta semmai di nuovi territori come l’Ucraina occidentale o le repubbliche baltiche – annesse durante la Seconda Guerra Mondiale – che fecero raggiungere al perno moscovita la sua massima estensione territoriale.

Ferrari sostiene che alla frammentazione dello spazio eurasiatico verificatosi con il crollo dell’URSS sarebbe stata preferibile una sua ricomposizione federale su basi differenti da quelle sovietiche, ma in grado di svolgere la stessa funzione unificatrice. Un processo di questo genere, secondo il professore della Ca’ Foscari, avrebbe probabilmente impedito lo scoppio di quei conflitti interetnici che dalla Moldavia al Caucaso all’Ucraina hanno tragicamente caratterizzato lo spazio post-sovietico; anche l’economia, secondo l’Autore, ne avrebbe largamente beneficiato, evitando il tracollo degli anni Novanta e beneficiando anzi dei vantaggi dell’integrazione tra le sue diverse componenti. È anche possibile immaginare, sostiene l’Autore, che il mantenimento della coesione politica avrebbe consentito lo sviluppo di una coesistenza con l’Occidente meno sbilanciata a favore di quest’ultimo, al contrario cioè di ciò che poi si è verificato. Trattasi di uno sviluppo storico ormai irrealizzabile dopo tre decenni di consolidamento statale delle ex-repubbliche sovietiche.

Negli anni Novanta, lo Stato russo si presentava come un impero in convalescenza, privato improvvisamente degli arti periferici, ridotto nella sua estensione, cogli sbocchi sui Mari Baltico, Nero e Pacifico perduti o barcollanti, nonché spoliato di gran parte delle ricchezze sovietiche e minato al suo interno dal nazionalismo di secessione, che minacciava di estinguere l’unità dello spazio nord-eurasiatico dopo circa quattrocento anni di esistenza (cosa tra l’altro già capitata, sebbene in misura soltanto temporanea, al Tempo dei torbidi e durante la Rivoluzione comunista). Tuttavia, esso possedeva ancora la memoria del proprio corpo integrale. In seguito all’inglorioso crollo del comunismo storico novecentesco, la neonata Russia ereditò la tradizione sovietica e russo-imperiale, ragion per cui lo sviluppo storico dell’odierna Russia rimane ancora oggi, sostiene Ferrari, fortemente influenzato dai medesimi fattori spaziali.

L’odierna Russia infatti, sebbene territorialmente ridimensionata, si estende sempre sul medesimo territorio nord-eurasiatico e continua a disporre di sfaccettate popolazioni. In questo contesto, mentre cercava di riacquisire la propria statualità e stabilità la Russia ha tentato dapprima di integrarsi nell’Occidente (1991-1999) e nella Grande Europa (2000-2013), per poi svoltare verso l’integrazione nella Grande Eurasia (2014-in corso). Quest’ultima, scrive Ferrari, va intesa come un progetto volto alla “realizzazione di un nuovo ordine internazionale di tipo multipolare fondato sulla collaborazione tra le maggiori potenze non occidentali”. Esso è giustificato, da una parte, dal naufragio del tentativo di trovare una adeguata sistemazione con l’Occidente collettivo e, dall’altra, di affrontare la crescita dell’Oriente in generale e della Cina in particolar modo – crescita, questa, che per certi versi ribalta gli ultimi cinquecento anni di predominio occidentale a guida marittima. Mosca parrebbe trovarsi a proprio agio – sia pragmaticamente quanto ideologicamente – in un contesto globale caratterizzato dalla presenza di grandi potenze che difendono i propri interessi nazionali, svincolati tanto dai meccanismi multilaterali quanto dai valori liberali occidentali. Il progetto della Grande Eurasia, in particolar modo in seguito alla Guerra russo-ucraina, è perciò “ormai saldamente accettato dai vertici politici russi”. Tuttavia, anche nel “nuovo assetto post-occidentale” che sta cercando attivamente e consapevolmente di costruire e plasmare, Mosca rischierebbe di ritrovarsi in una condizione di subalternità strategica, stavolta verso Pechino anziché Washington. Un rischio direttamente riconducibile alla cronica stagnazione economica e sociale che frena le sue ambizioni e di cui le classi dirigenti russe non sono riuscite a valorizzare le enormi risorse naturali e il valore strategico della collocazione spaziale russa nel mondo internazionale. Qualora non riuscisse a valorizzare le proprie potenzialità interne, l’attuale grande strategia eurasiatica potrebbe costringere la Russia ad un ruolo ancillare: mero fornitore di risorse naturali e certamente grande potenza militare, ma inevitabilmente in posizione impari rispetto all’egemonia cinese. Destino incongruo per un Paese che potrebbe giocare ben altre carte.

Pur senza minimamente idealizzare le politiche utilizzate nel corso dei secoli da chi deteneva il potere a Pietroburgo o a Mosca, Ferrari critica le numerose condanne, talvolta superficiali, mosse nei Paesi occidentali riguardo alle scelte effettuate dalle classi dirigenti russe e sovietiche volte alla tutela dell’“Impero eurasiatico russo” dal nazionalismo di secessione. Parimenti, l’Autore sottolinea come l’atteggiamento egemonico e prescrittivo che l’Occidente ha mantenuto nei confronti dell’odierna Russia abbia non poco contribuito alla scelta di Mosca di adoperarsi per la costruzione di un mondo internazionale post-occidentale e multipolare. Inoltre, alcuni progetti emersi – specie in Europa orientale, ma anche negli Stati Uniti – in causa della mancata integrazione russa nell’Occidente collettivo e ancor più con la Guerra russo-ucraina, miranti a frammentare definitivamente lo Stato russo lungo linee etno-nazionalistiche, rischiano di trasformare quel territorio, ancora oggi esteso su undici fusi orari, in un vuoto conteso, con “conseguenze devastanti a livello geopolitico” (si veda l’intervista a Ferrari, da noi curata, pubblicata in «Eurasia. Rivista di studi geopolitici», vol. 2/2025, pp. 147-150, con il titolo Una frammentazione della Russia avrebbe conseguenze devastanti).

Scritto in un linguaggio semplice ed accessibile, probabilmente pensato più per un pubblico colto ma generalista che non specialista, il volume di Ferrari restituisce alla dimensione spaziale il ruolo di protagonista assoluto nella storia russa, mostrando come la Russia, nella sua duplice veste di soggetto ed oggetto geografico, rappresenti un unicum storico: entità imperiale la cui esistenza e vicenda è talmente inscindibile dallo spazio che occupa da essersi dotata di una “mistica dello spazio”.

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