Pierre-André Taguieff (1946) è un filosofo, sociologo e storico delle idee, ricercatore presso il CNRS. Autore di numerosi saggi politologici, sociologici, di storia delle idee e di teoria della falsificabilità. Nei suoi studi si è occupato di razzismo, antisemitismo e ha analizzato le ideologie legate all’estrema destra francese ed europea. È noto anche per i suoi lavori pioneristici sul populismo, sulla cosiddetta “Nuova Destra” e sul Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni: La forza del pregiudizio. Saggio sul razzismo e sull’antirazzismo (il Mulino, Bologna 1994); Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico (Vallecchi, Firenze 2003); Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti (Raffaello Cortina, Milano 1999); Il progresso. Biografia di un’utopia moderna (Città Aperta, Troina 2003);Cosmopolitismo e nuovi razzismi. Populismo, identità e neocomunitarismi (Mimesis, Milano 2003);L’illusione populista (Bruno Mondadori, Milano 2003);L’antisemitismo (Raffaello Cortina Editore, Milano 2016). Tra i suoi ultimi lavori in francese: Le nouvel opium des progressistes: Antisionisme radical et islamo-palestinisme (Gallimard, 2023); Les «Protocoles des Sages de Sion». Des origines à nos jours (Hermann, 2024).

Chamfort disse una volta: «In Francia, chi appicca il fuoco è lasciato a riposo, ma chi dà l’allarme è perseguitato». Suonare l’allarme significa avvisare di un pericolo, dopo aver fatto un lavoro da risvegliatori, che consiste nell’essere vigili, cioè attenti ai segni rivelatori o annunciatori. Ma c’è vigilanza e vigilanza, c’è una vera vigilanza e una falsa vigilanza. I veri vigilanti, coloro che possono essere considerati come coloro che danno l’allarme, quando indicano minacce ritenute trascurabili o inesistenti (islamismo, immigrazione incontrollata, antisemitismo, ecc.) dal politicamente corretto, vengono regolarmente etichettati come “estrema destra”, squalificati come “reazionari”, denunciati come “razzisti” o “fascisti”, ecc. È così che si creano gli infrequentabili e i paria.

Per i nuovi inquisitori e informatori che si identificano con il campo “antifascista” e “progressista”, non si tratta più di essere “assolutamente moderni”, ma di essere “del nostro tempo”, in cui tutto cambia, si scambia e si mescola. Il “nuovo mondo” è segnato dalla normalizzazione delle “identità ibride” e dall’idealizzazione delle frontiere aperte (“siamo tutti migranti”). Dobbiamo quindi assomigliare agli ultimi arrivati, quelli che, secondo il sistema mediatico, dovrebbero popolare la suddetta epoca e assomigliare tutti dentro società sempre più “fluide” o “liquide”. Ma l’epoca è wokista. Questa è la sua morale e la sua politica, la cui dimensione religiosa o gnostica è stata riconosciuta e analizzata dal filosofo Jean-François Braunstein. Quindi chi non è wokista non può che essere un residuo del “vecchio mondo”, e quindi “di destra” o “di estrema destra”.

La vigilanza wokista illustra una forma moralizzante o virtuosa di cecità militante, quella che si trova oggi nei circoli intellettuali, mediatici e politici che pretendono di essere “di sinistra”, veramente e totalmente. Costituiscono le truppe della sinistra estrema emergente, una sinistra post-comunista (o post-marxista) che si è convertita alla politica delle identità o, più precisamente, delle “minoranze”, e che io chiamo “sinistra di sinistra”, una sinistra che non ha altro progetto che la lotta contro l’“estrema destra” in ogni angolo delle società democratiche occidentali. Questa ossessione anti-destra porta ad atteggiamenti paranoici: coloro che hanno professionalizzato la caccia all’“estrema destra” finiscono per inventarla quando non ne trovano traccia. In questo modo, scambiano le loro fantasie con la realtà che ritengono intollerabile.

Ciò che colpisce, soprattutto negli ambienti della nuova sinistra intellettuale, è la diffusione di questa patologia cognitiva della cecità ideologica, legata a uno stile di attivismo che pretende di fare “resistenza” piuttosto che rivoluzione. Può essere analizzata come una forma di cecità intenzionale, molto simile alla servitù mentale intenzionale, come ha visto chiaramente il filosofo Yves Charles Zarka. Si tratta di un nuovo tipo di cecità ideologica, post-comunista, generata dalla combinazione di un certo numero di cause, vecchie o emergenti (antirazzismo, antifascismo, anticapitalismo, antimperialismo, anticolonialismo, antisessismo, antisionismo, antislamofobia, antioccidentalismo o antiesperofobia, ecc.). La “cultura dell’annullamento” è la codificazione di tutto ciò: non parliamo con gli “innominabili”, li denunciamo per escluderli, per porre fine alle loro sofferenze. La cultura della cancellazione ha scacciato la cultura del dibattito, ma non senza criminalizzarla.

L’intolleranza e il fanatismo ideologico si sono così radicati sia nella sfera culturale che in quella politica, dove sono diventati attraenti. Questa cecità, che colpisce soprattutto i cosiddetti intellettuali “progressisti”, in particolare i giovani accademici e gli studenti coinvolti in gruppi di protesta più o meno radicali (cioè intransigenti e violenti), è l’effetto della totale sottomissione alla nuova ideologia dominante, che è intersezionalista, decoloniale, identitaria e razzista, neo-femminista e pro-LGBTQIA+, islamofila e anti-islamofobica, pro-palestinese e anti-sionista. La stupidità ideologizzata, con i suoi discorsi infiorettati e sofisticati, non ha smesso di diffondersi dopo l’ondata decostruzionista che le ha dato le sue patenti di nobiltà. È così che si creano nuove generazioni di “utili idioti”, che si atteggiano a teorici dalla “faccia truce” che conoscono il senso ultimo della Storia.

Accecati dalle loro pretese e dalla loro vanità, questi nuovi “idioti” strumentalizzabili politicamente sono soprattutto utili agli islamisti che, grazie a loro, hanno acquisito uno status di vittime pur assumendo il ruolo di “combattenti della resistenza”. La trasformazione dei terroristi islamici di Hamas in “combattenti della resistenza” ne è la testimonianza. Questa è la principale eredità ideologica e mediatica del megapogrom del 7 ottobre 2023, quella conservata dalla sinistra affascinata dalla “resistenza armata” dell’organizzazione jihadista antiebraica, le cui azioni criminali ora illustrano il terrorismo “buono”, quello che gli intellettuali di sinistra applaudono fin dagli anni Cinquanta.

Queste miscele di nazionalismo e islamismo, dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino alle organizzazioni palestinesi come Hamas e la Jihad islamica, fanno ancora presa sui movimenti di estrema sinistra come l’ANP e La France Insoumise (LFI) in Francia, che proiettano su quelle organizzazioni terroristiche il loro desiderio ideologizzato di liberazione o emancipazione dei popoli oppressi, cioè, in ultima analisi, il loro desiderio di rivoluzione mondiale. Hanno sostituito il proletariato, troppo “bianco” e “reazionario” per i loro gusti, con i “resistenti” islamisti e più in particolare con gli islamo-palestinesi. Questo tipo di angelismo rischia di trasformarli in compagni di viaggio, o addirittura in complici più o meno consapevoli, dei gruppi terroristici più sanguinari. La sinistra raccoglie pietosamente l’eredità di Sartre, quella della prefazione a I dannati della terra (1961) di Frantz Fanon, mentre noi dovremmo urgentemente rivisitare quella di Camus.

[articolo originariamente pubblicato il 26 marzo 2024 nella rubrica «Tribune» del quotidiano francese “Le Figaro”. Si ringraziano la direzione del quotidiano e l’Autore per la gentile concessione. Titolo e traduzione a cura della Redazione]

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